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Il suono dei Mac and The Bee è nato dalla necessità di ricreare quella che loro stessi hanno definito “elettronica brutale”, ed evolvendosi nel tempo, è diventato molto di più, espandendo il proprio raggio d’azione e coinvolgendo musicisti ed esperienze musicali anche molto distanti tra loro. Hanno comunque optato per mantenere una forte impronta elettronica, e intorno a questa hanno fatto ruotare i vari background musicali apportati dai diversi componenti del gruppo. Il risultato è un crossover di stampo nineties di alta qualità, nel quale è facilmente riscontrabile la passione per la ricerca e la qualità del suono che i ragazzi profondono nei loro lavori.

Nata in seno all’Associazione Officine Musicali, la band tuttora ne accompagna attivamente l’evoluzione: i ragazzi partecipano a diversi progetti, tra l’altro molto apprezzati – come Beeside e il collettivo Ergot Project – e i risultati di queste collaborazioni si ripercuotono positivamente sulla loro musica, sempre “in divenire” ma con una precisa identità.

Attualmente sono a lavoro su qualcosa di “veloce, cattivo, elettronico ma molto suonato”. Un’anticipazione l’abbiamo avuta questi giorni con il videoclip del brano Asleep, registrato nel corso di un live la scorsa estate a Porto Ferro.

Li abbiamo incontrati per capire qualcosa di più e questa che segue è l’intervista che ne è venuta fuori. Buona lettura.

 

Con il il vostro disco d’esordio Macandthebee uscito nel 2014, siete riusciti a inserire rock, funk, elettronica, metal, grunge, prog, dub in un solo album. Quindi è possibile fare un buon crossover mescolando così tanti generi, anche molto distanti fra loro, e mantenendo comunque una certa coerenza musicale?

Il progetto Mac and The Bee, così com’è ora, è nato in maniera un po’ atipica. I primissimi brani sono stati composti come duo: Federico Pazzona alla voce e alla chitarra, e Antonio Maciocco alle tastiere e alle programmazioni. Nel giro di circa due anni si aggiungono Daniele Pala alla batteria e, successivamente, Bruno Ponchietti al basso. Il disco è nato quando il gruppo era ancora un trio e durante la registrazione si decise di coinvolgere sei bassisti diversi a cui affidare il compito di “interpretare” i nostri brani. La scelta doveva ricadere su musicisti che avessero determinate caratteristiche, molto diverse fra loro ma funzionali al brano che dovevano interpretare. È venuto fuori un lavoro, sotto certi punti di vista molto vario, ma che per noi suona comunque in modo coerente. Oggi, dopo quasi due anni di formazione stabile, gli stessi brani suonano in modo molto diverso. Se dovessimo registrare lo stesso disco avrebbe un suono molto differente.

Nel tempo ogni elemento della band ha portato la propria esperienza e il proprio background, per ognuno sostanzialmente diverso. Sentire tutte queste sfaccettature all’interno del nostro disco è naturale e inevitabile. Si è discusso molto su che “vestito” dare al progetto, e nonostante le differenze, il progetto attualmente ha raggiunto quella che noi riteniamo essere la sua forma più completa.

 

Com’è stata la risposta del vostro pubblico, che magari si è fatto le ossa (e le orecchie) negli anni ‘90, con gruppi “crossover” come Faith no More, Rage Against The Machine e Deftones o, negli anni a venire, con Linkin’Park, P.O.D. e Alien Ant Farm?

Spesso, si creano delle aspettative nei confronti di una band sulla piazza ormai da qualche tempo. Per questo motivo per noi è molto difficile presentarci con qualcosa di nuovo. Da un lato perché ci sentiamo sotto esame ma, al tempo stesso, anche stimolati a cercare di migliorarci sempre e comunque. Questo rallenta le nostre produzioni perché ci concentriamo molto nella ricerca di qualcosa di particolare, fruibile ma coerente con le nostre idee e con l’impostazione elettronica che abbiamo deciso di seguire. Il nostro pubblico, come dici tu, è soprattutto quello della nostra città – Sassari – ed è una nicchia di appassionati e, in un certo senso, di esperti. Spesso, dal vivo, percepiamo che è un pubblico difficile perché molto esigente, composto da ascoltatori con una profonda conoscenza musicale. Viviamo in una cittadina di provincia che, oltre tutto, è in un’isola nell’isola: l’attenzione per la musica ed i nuovi progetti è sempre stata altissima, così come la ricerca di prodotti di qualità. Forse proprio per cercare di sentirsi meno “isolati” dal resto del mondo, questa attenzione sembra essere prerogativa di una cerchia ristretta.

 

Tra le tante influenze che è possibile individuare nei vostri pezzi, in alcuni di essi si colgono riferimenti alle colonne sonore dei poliziotteschi degli anni ’60 e ’70. Genere ormai ampiamente sdoganato, e con ottimi risultati, da gruppi come i Calibro 35 o gli Apollo Beat, senza andare troppo lontani. Confermate questa sensazione?

Il genere “poliziottesco” in realtà non è molto vicino ai nostri ascolti. Nel brano in questione ci si avvicina per il campionamento della voce di Gian Maria Volontè tratto da Un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Se si esclude il campione della voce, l’asse portante del brano sta nella programmazione ricca di elementi sonori 8bit. Lo sforzo era quello di proporre un brano molto elettronico, quasi ballabile ma in 5/4. Più che “poliziottesco” potremmo definirlo “settantiano“. E questo è principalmente responsabilità di Antonio Maciocco e della sua “militanza” nel prog anni ’70, ma in realtà, se ci sono alcuni richiami, questi sono identificabili in uno, forse due brani. Il poliziottesco è una citazione leggera, un pretesto, non per senso di appartenenza al genere musicale, ma perchè ci interessava – parliamo di A mistake – il ragionamento portato avanti nel monologo richiamato nel brano. Ovvero accomunare il delinquente comune al “sovversivo”, in modo da sminuire quello che era l’impatto dei movimenti studenteschi e politici di quegli anni e, al tempo stesso, sottolineare come spesso la polizia usi la forza e la repressione. Il brano in questione è nato dalle mani di Antonio poco tempo dopo la morte di Stefano Cucchi e Federico Aldrovanti, solo per citare due casi. Ma è anche una dedica ad un bel movimento artistico nato in città durante l’occupazione proprio di una ex questura, l’EXQ, posto in cui si è sviluppato un vero e proprio centro culturale polivalente che ha resistito per circa quattro anni. Sia come singoli che come band abbiamo sempre cercato di aiutare o in qualche modo supportare realtà di questo tipo.

 

La produzione del vostro primo disco Macandthebee è stata realizzata da Officine Musicali, importante realtà per la musica emergente, e non solo, del nord Sardegna. Com’è andata?

Possiamo dire che il progetto Mac and The Bee nasce dentro e contemporaneamente all’Associazione Officine Musicali, che inizialmente era una sorta di “contenitore” per alcune band locali. Poi l’Associazione si è evoluta e, nel corso di questi anni, è diventata una sorta di mini casa di produzione. Noi siamo ancora dentro e partecipiamo attivamente a tutti i progetti in cui possiamo essere coinvolti, oltre che essere noi stessi motore di alcune delle iniziative.

 

Officine Musicali vi ha anche inserito nella compilation Radiofficine, che raccoglie il meglio delle proposte musicali seguite dall’associazione. C’è un bel fermento da un po’ di anni a questa parte nel nord Sardegna. E pare ci sia anche un bello spirito collaborativo, che ha sempre aiutato le piccole “scene” a emergere. È proprio così come sembra?

In parte sì e in parte no. Ci sono alcune band che collaborano e continuano a collaborare negli anni, ma purtroppo, come spesso accade in realtà con una scena molto valida e ricca, si creano delle “correnti”. Quando si appartiene a una corrente invece che a un’altra, si rischia di rimanere esclusi o di escludere. Possiamo affermare con cognizione che la scena musicale di Sassari, ma anche quella Sarda in generale, è molto ricca, sia di contenuti che di progetti validi. Abbiamo tanti musicisti molto bravi e, molto spesso, abbiamo avuto l’onore e il piacere di dividere il palco con realtà estremamente interessanti. Come i Vilma, i Lazybones Flame Kids, gli Ergot Project – di cui fa parte anche il nostro batterist – ,  i De grinpipol, i Quadernidalcarcere, gli Arawak, i Fujima, i Grandmother Safari, i Mow Man, Beeside – che poi è il nostro cantante e chitarrista- , The heart and the void e tanti, tantissimi altri. Troviamo che in questo periodo la scena musicale sarda stia abbastanza bene, anche se sono carenti i luoghi di espressione.

 

La vostra musica nasce già predisposta ad essere stravolta più e più volte. Immagino che la sperimentazione rientri tra le vostre priorità. Sarà così anche per il vostro prossimo disco? Potete già anticiparci qualcosa?

Ci piace l’idea che la nostra musica sia in divenire. Ognuno dei musicisti che fa parte del progetto è disposto, prima di tutto, a mettersi al servizio del progetto stesso e di conseguenza a vedere “stravolta” ogni eventuale proposta, senza dover rinunciare alla propria identità. Ma data la profonda diversità degli elementi, si corre il rischio di generare qualcosa priva punti di riferimento, nonostante il tutto possa risultare amalgamato in modo coerente. Alla luce di questo, la nostra nuova produzione si sta indirizzando verso un progetto “di genere”. Il nuovo lavoro sta venendo fuori pian piano, un brano per volta, e, al momento, è veloce, cattivo, molto elettronico ma anche molto suonato.

Fondamentalmente per noi il tutto deve suonare bene, sia in termini di semplice comprensione sia di impatto all’ascolto. Cercando sempre di non perdere di vista la nostra attitudine alla sperimentazione di suoni, strutture e melodie. Quindi non ci tiriamo indietro là dove crediamo sia necessario inserire elementi particolari.

 

Avete anche altri progetti in ballo, oltre quelli “canonici”?

Ultimamente abbiamo collaborato con un videomaker, LorisK, con cui abbiamo messo in scena un paio di live con video manipolati in tempo reale. In questo modo abbiamo realizzato ad esempio il videoclip di Alseep – brano che sarà presente nel nostro nuovo lavoro – che abbiamo registrato al Baretto di Porto Ferro lo scorso 10 settembre e pubblicato il 25 novembre. Anche questo è un progetto in divenire, quindi soggetto a stravolgimenti, ma siamo fortemente convinti che immagini e musica possano coesistere, soprattutto nei nostri live.

Inoltre alcuni di noi portano avanti parallelamente altri progetti musicali: come già anticipato Federico Pazzona ha il suo progetto solista Beeside e Daniele Pala suona con il collettivo Ergot Project capitanato dal bassista e produttore artistico Christian Marras.

 

Infine, anche a voi chiedo di fare un saluto al clan Brincamus

Ciao Brinca, un abbraccio dai Mac and The Bee!

 

A cura di Simone La Croce

© Riproduzione riservata


PER SAPERNE DI PIÙ SUI MAC AND THE BEE

>> La scheda

 

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Elettronica e sperimentazione nel crossover dei Mac and The Bee