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Il progetto dei Breakin’Down ha preso piede quasi vent’anni fa, e da allora hanno vissuto mille peripezie e affrontato difficoltà e cambi di rotta. Nonostante tutto, per tutto questo tempo, hanno continuato a proporre la loro idea di rock’n’roll, fortemente ancorato agli standard, senza stravolgerlo né snaturarlo. Oltre a divertirsi come quando avevano vent’anni, propongono riff essenziali, pezzi energici e ritornelli ad effetto, attingendo a piene mani dai grandi classici del passato.

Con questa formula, e una buona dose di sacrificio, i ragazzi sono riusciti a guadagnare un buon consenso, andare fino in Texas per registrare il loro album d’esordio Miss California, far girare i loro pezzi in radio e intraprendere tournée internazionali. Come il TourTure del 2015 che li ha visti impegnati in 15 esibizioni in giro per l’Europa e il tour negli Stati Uniti che stanno cercando di imbastire proprio in questi mesi.

Uno degli artefici di tutto questo è Simone Piu, bassista, cantante e frontman della band. Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare com’è andata. E come andrà d’ora in avanti. Buona lettura.

 

Ciao Simone. Complimenti, bel nome. Hai messo in piedi questo progetto nel lontano 1998 e da allora di acqua sotto i ponti dei Brakin’Down ne è passata tanta. Però avete resistito, siete cresciuti e state ancora insieme. Il rock’n’roll rimane sempre uno stimolo fortissimo ad andare avanti, non è così?

Il ’98 sembra lontano anni luce e la discografia da allora ha subito pesanti cambiamenti. Le gioie son state tante, come numerose sono state anche anche le delusioni. Tanto da farti pensare più volte “Chi me lo ha fatto fare?“. Ma il rock’n’roll ha una forza incredibile. Ha il potere di unire persone, ideali e stili di vita anche molto diversi tra loro. Ed è proprio così, nonostante i cambi di formazione, che si trovano sempre nuovi stimoli, nuove necessità e la voglia di stare dentro un progetto e lottare insieme per questo. Dopo tutto una band diventa la tua seconda famiglia.

 

Ci avete messo dieci anni per sfornare il primo singolo come Breakin’Down, Radio Inferno, che ha anticipato il vostro primo album ufficiale Miss California. Un album molto diverso dalle premesse del primo demo. Che cosa vi ha spinto a cambiare direzione prima di andare al Sonic Ranch Studio di El Paso, in Texas?

Per la verità le premesse – e le promesse – erano ben altre. Pochi sanno che il primo titolo dell’album Miss California era in realtà Fire, blood and broken bones. Fuoco e sangue, ovvero la nostra passione e i sacrifici che abbiamo dovuto fare, e broken bones come le ossa che ci siamo rotti per arrivare qui. Specie dopo il nostro primo demo Radio Inferno, il quale non ci ha mai soddisfatto del tutto sotto il profilo della qualità del recording. Mesi prima della partenza in Texas, un bel giorno arrivo al club e dico ai ragazzi “Hey ma perché non ritorniamo all’inglese? Così come i brani nascono nella mia testa?”. Cantare in inglese rendeva completamente giustizia al mio, e al nostro modo, di concepire la musica.

 

Come siete riusciti ad arrivare a registrare il vostro album d’esordio negli States? Che esperienza è stata?

Entrammo in contatto con Fabrizio Simoncioni e lo raggiungemmo a El Paso. Lo stesso produttore di Miss California era dell’avviso che dovessimo bissare Radio Inferno. È stata un’esperienza incredibile e il Sonic Ranch un vero e proprio luna-park del rock’n’roll. Quello che ne sarebbe scaturito fuori, nonostante qualche promessa, era avvolto dal mistero.  Non avevamo minimamente considerato nemmeno il potenziale del singolo Miss California Hell A.. È emerso solo in seguito alla sua pubblicazione e ci ha fatto conoscere e apprezzare. Miss California passó in centinaia di radio italiane e internazionali e finì in svariate compilation.

 

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Il vostro è un genere, a mio parere, non semplice da proporre. Avete ottimi predecessori che rendono difficile in qualche modo differenziarsi, ricavarsi degli spazi e catturare la curiosità degli ascoltatori. Pur proponendo una formula classica e rodata, voi ci siete riusciti. Che cosa della vostra musica ha fatto breccia secondo te?

La forza della band credo stia nella semplicità e nella volontà di fare le cose per bene. La cosa che più convince l’ascoltatore sono l’energia e i ritornelli. Non a caso gli inglesi lo chiamano chorus.

 

A proposito della vostra musica e dei vostri predecessori, una domanda facile facile. In un orizzonte musicale che, sintetizzando, copre quasi 60 anni ormai e ha visto confrontarsi su questo terreno band tra le più disparate, chi sono i vostri punti di riferimento stabili?

Questa è una domanda più difficile di quanto si possa pensare. Per un’artista che compone musica originale, è sempre bello e giusto confrontarsi con più generi e influenze. Nel nostro percorso vari miti si sono susseguiti dai Lynyrd Skynyrd ai Kyuss, dagli Stones ai Faith No More, dagli AC/DC ai Queens Of The Stone Age.

 

Il TourTure del 2015 vi ha visto impegnati in una tournée di qualche settimana in Europa, che ha toccato Italia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania, Svizzera, Francia e Spagna. Vorrei sapere che esperienza è stata in generale e se avete riscontrato particolari differenze nel pubblico dei paesi dell’ex blocco sovietico rispetto a quello dei paesi occidentali.

Che esperienza è stata? Devastante! (ride, ndr) Come disse un amico “nel vostro piccolo, avete scritto un pezzettino di storia del Rock’n’roll“. In effetti non capita ogni giorno che una band isolana parta per fare 15 date in 20 giorni, percorrere 11.000 km, perdere un chitarrista alla quinta data – e sostituirlo nel giro di 10 ore! – e lasciare sulla strada un semiasse che ci ha costretto a fare i salti mortali. Siamo stati accolti alla grande, Bologna e Trieste le migliori tra le piazze italiane. Bratislava si è rivelata un crocevia nella nostra storia e non ha tradito le aspettative. La più brutta indubbiamente Budapest, locale orrendo e poco pubblico. Per cultura e strutture certo ci son ancora pesanti differenze tra le venue più occidentali e quelle dell’Est, ma è altrettanto vero che il rock’n’roll ha fatto breccia nei cuori di qualsiasi razza, etnia e colore. Ma una menzione speciale la merita tutta la Spagna. Non ci aspettavamo di certo un pubblico così caldo e partecipe. Tutte le date sono state una vera e propria festa!

 

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Dopo la fuoriuscita del vostro chitarrista storico, Francesco Manna, con il quale hai peraltro fondato la band nel ’99, siete già riusciti a trovare un degno sostituto?

Dopo la dipartita di Frank non è stato assolutamente facile. Solo in seguito a varie audizioni e a un periodo di passaggio con 2 chitarristi, siamo riusciti ad avere con noi il chitarrista che cercavamo, la nostra prima scelta, ancor prima di tutte queste vicissitudini. Al tempo era impossibilitato ad entrare nella band. Ora Luca Desini, ex Three Pigs Trip, è uno di noi. Un chitarrista incredibile e un compagno di viaggio fantastico.

 

So che state lavorando a un tour che quest’anno dovrebbe attraversare gli Stati Uniti. Immagino sia un sogno che si corona… Siete carichi?

L’operazione Stelle e Strisce è partita! (Ride, ndr) È un’operazione complessa, ma siamo davvero molto entusiasti alla sola prospettiva di riuscire a realizzare questo sogno. Sarebbe il secondo continente in 3 anni, l’11º tour in 7 anni e il 10º paese internazionale visitato!

 

So anche che avete messo in cantiere un nuovo album. A che punto siete con le registrazioni e che cosa potete anticiparci a riguardo?

Sto lavorando, individualmente e con i ragazzi, a nuovo materiale. Il telefono scoppia di bozze. Lavoriamo con molta molta calma e navighiamo a vista senza studio recording a cui pensare. Siamo molto contenti. Luca Desini ci permette di avere una gamma di suoni più vasta rispetto al passato, ha sposato a pieno il nostro piano musicale ed è molto motivato e propositivo nella stesura dei nuovi brani. Due pezzi, New York’s Lullaby e Electric Death Song, sono completamente plasmati e arrangiati.

 

Ottimo, in bocca al lupo allora! Infine, vi va di porgere i vostri saluti ai ragazzi di Brincamus?

Un abbraccio fortissimo a tutti i ragazzi di Brincamus che ci danno supporto. Un lavoro duro svolto nell’ombra che chi non è dell’ambiente neanche immagina. Speriamo, anche grazie al vostro supporto, di conquistare gli USA. Forza ragazzi!

 

A cura di Simone La Croce

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I Breakin’Down: rock’n’roll, passione e sacrificio