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Quello dei chitarristi è un mondo duro. Nell’immaginario collettivo è un ambiente prettamente maschile, molto macho e spesso poco inclusivo, nel quale essere giovane, donna e talentuosa può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Irene Loche, sgomitando a colpi di Telecaster, si è fatta strada e a soli 25 anni è diventata già un piccolo “caso”, capitalizzando al meglio tutte le possibilità che è stata in grado di crearsi. Con le Sunsweet Blues Revenge – power trio con il fidato Gian Luca Canu al basso e Alessandro Cau “Sbiru” alla batteria – incide un disco a 16 anni e da allora inizia a calcare i più importanti palchi italiani. Entra in contatto con il mondo del blues on the road, conosce il cantante e armonicista Fabio Treves, che diventerà per lei un punto di riferimento importante, e si fa le ossa.

Finalmente, dopo aver tenuto l’idea in un cassetto per tanto tempo, prende il coraggio a due mani e inizia a comporre dei pezzi suoi. Garden of Lotus, grazie alla preziosa collaborazione di Gian Luca Canu, vede la luce l’anno scorso. Il blues rimane ben radicato nei pezzi, che però assumono tinte più leggere, con sprazzi di soul, folk e buon pop.

La consacrazione definitiva arriva con l’ingresso tra gli endorser della Magnatone – al fianco di personaggi come Neil Young, Keith Richards e David Gilmour – e con la presentazione dell’album al Namm Show di Los Angeles, dove ha incontrato anche il nostro presidente Giancarlo Palermo. Ma non vi anticipiamo altro e per tutti i dettagli vi rimandiamo all’intervista che segue.

 

Questa è la prima di una serie di interviste che interesserà artisti amici di Brincamus che non fanno parte dell’associazione ma che avremo il piacere di incontrare per voi e che andranno ad arricchire il nostro Guestbook. Nella speranza di fare cosa gradita offrendo, ai lettori e ai nostri follower, sempre nuovi punti di vista sul fermento culturale in Sardegna e dei sardi che hanno “saltato” il mare.

 

 

Ciao Irene, sei molto giovane, classe ’92. Quest’anno compirai 25 anni e già da tempo fai parlare di te. Immagino che per arrivare a questa età con una tale padronanza dello strumento, e anche del palco, abbia iniziato molto presto. Com’è andata?

Sì, ho iniziato in tenera età: già a 7 anni ho iniziato ad approcciarmi allo strumento. Di lì a sviluppare la passione che mi ha spinto a continuare a provarci fino ad ora, il passo è stato molto breve. La mia è una famiglia di musicisti e artisti: la musica è quindi sempre stata molto presente nella mia vita. Così come la chitarra. Fortunatamente negli ultimi anni è diventato un lavoro, oltre che una passione a tempo pieno. Soprattutto dopo la pubblicazione del mio primo lavoro solista e grazie anche all’operato della Onestep – BMP, l’agenzia di Alghero che mi sta supportando in questo mio nuovo percorso. Anche se già dalla pubblicazione del mio primo album con le Sunsweet Blues Revenge (Better luck next time, ndr), quando avevo ancora 15-16 anni, gli impegni si sono susseguiti in maniera sempre più frequente, fino ad oggi.

 

Con le Sunsweet Blues Revenge, il trio con cui ti esibisci tuttora proponendo brani originali e classici della tradizione blues, hai fatto in qualche modo il salto di qualità che ti ha portato a ciò che sei ora. È un progetto che immagino ti abbia dato tanto in termini di esperienza e formazione. Hai intenzione di portarlo avanti in parallelo alla tua produzione solista?

Assolutamente sì. Sono due progetti distinti che ho intenzione di portare comunque avanti e con cui ci sono tante idee in ballo. Con la band ho la possibilità di suonare il blues, un genere per me veramente molto importante. Per quanto ultimamente mi impegni con più dedizione al progetto solista, che spero prenda piano piano una forma più definita, con una band strutturata e completa a sua volta, non ho alcuna intenzione di rinunciare alle Sunsweet Blues Revenge.

 

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Con loro questi anni scorsi hai potuto calcare palchi come Pistoia Blues, Ameno Blues Festival, Italian Blues River, Samedan Blues Festival in Svizzera, Rocce Rosse Blues, Mamma Blues. Avrai conosciuto personaggi incredibili. Qual è stato l’incontro che ti ha colpito di più?

Ho avuto la fortuna di conoscere davvero tante persone, alle quali sono rimasta molto legata. Un rapporto molto particolare si è instaurato con Fabio Treves (storico cantante e armonicista blues milanese, ndr), che mi ha aiutata tantissimo, facendomi maturare tanto dal punto di vista musicale quanto da quello umano. Dal momento in cui ho fatto la sua conoscenza, Fabio ha rappresentato un importante punto di riferimento per me.

 

Il tuo primo lavoro solista è Garden Of Lotus, uscito nel 2016, dove hai mescolato gli elementi del blues, dei quali difficilmente riusciresti a fare a meno, con buone pillole pop e un tocco di soul, sintesi non sempre semplice. Hai arrangiato da sola i brani o ti sei fatta affiancare da qualcuno?

Io collaboro costantemente con Gian Luca Canu, che è anche il bassista delle Sunsweet Blues Revenge. Posso dire che lui sia il mio braccio destro: ha grandissime competenze in campo musicale e lo consulto spessissimo, specie sugli arrangiamenti. In Garden Of Lotus la forma “grezza” dei pezzi l’ho creata io, mentre Luca mi ha aiutata tantissimo nelle fasi di arrangiamento e di incisione dei pezzi.

 

Com’è nata l’idea di un album solista?

Conservavo questa idea in un cassetto da tanti anni. Comporre, suonare e cantare dei pezzi miei è un processo molto intimo e personale. Per il timore di espormi ho messo da parte questo progetto tanto tempo, finché ho preso coraggio e ho deciso di mettermi in gioco, nella speranza di raggiungere qualcuno e di riuscire davvero a comunicare quello che ho cercato di mettere nei brani. Quello che all’inizio sembrava un azzardo, ora sta iniziando a dare i suoi frutti, specie in termini di soddisfazione personale.

 

Sei soddisfatta di come sta andando l’album?

Sì, sono soddisfatta. Anche se in realtà qualcosa di perfettibile c’è sempre. Non si è mai davvero soddisfatti fino in fondo. Se dovessi mettermi a lavorare oggi all’album da zero, probabilmente correggerei alcune cose che nel tempo ho visto in maniera diversa rispetto a quando le ho incise. In tutta sincerità, e nonostante questo, sono molto contenta di come è stato accolto da chi lo ha ascoltato. E questo si sta rivelando l’incentivo probabilmente più efficace per spingermi a portare avanti il progetto.

 

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Il fatto di essere giovane e donna credi abbia influito positivamente nella tua affermazione, oppure, come purtroppo succede in altri ambiti, lavorativi o meno, ha rappresentato una “complicazione”?

In realtà si sono verificate entrambe le cose. Da un lato, il fatto che io fossi una donna ha suscitato forse qualche interesse in più nei miei confronti. Quello dei chitarristi è un mondo molto maschile, nel quale le donne, pur presenti e anche molto brave, fanno fatica a emergere. Sicuramente fanno molta più fatica delle cantanti, ad esempio. Quando questo succede suscita sempre molto interesse. E questo probabilmente mi ha giovato. Dall’altro lato persiste sempre la convinzione che un uomo sia più portato per suonare la chitarra elettrica e fare musica. Questo, nel mio caso specifico, non è stato un ostacolo, ma devo riconoscere che è un’idea ancora fortemente radicata in questo mondo.

 

Dal 2015 sei un’endorser della Magnatone, storica casa statunitense di produzione di amplificatori e chitarre. Come ci sei arrivata?

Questi ultimi 5 anni ho avuto la fortuna di partecipare al Namm Show (National Association of Music Merchants, una delle più importanti fiere di prodotti musicali al mondo, ndr) che si tiene a Anaheim, nei dintorni di Los Angeles, in California. È una fiera davvero enorme, con un quantità incredibile di stand e di visitatori. Nel 2015, su insistenza del mio amico Gian Luca Canu, sono andata nello stand della Magnatone a provare i loro amplificatori. Ne provai uno e rimasi estasiata. Si fece avanti il presidente dell’azienda e mi propose questa collaborazione. Mi disse che ero riuscita a tirare fuori dall’amplificatore il vero suono Magnatone.

 

Che effetto ti ha fatto vedere il tuo nome a fianco a musicisti del calibro di Neil Young, Paul Simon, Keith Richards, Ry Cooder e David Gilmour?

Eh! (sospira, ndr) Non so bene che sensazione mi dia. Sicuramente mi spaventa perché tra gli endorser ci sono musicisti incredibili. È una questione che prendo molto con le pinze. Sono grata e anche molto orgogliosa di essere diventata un’artista Magnatone. Ma mi rendo anche conto che è una cosa molto grande. Voglio procedere lentamente e meritarmi, passo dopo passo, questo “incarico” che mi è stato affidato (ride, ndr).

 

A proposito di Namm Show. Com’è stato suonare a Los Angeles? Noi c’eravamo con il nostro presidente Giancarlo Palermo, che ha avuto la fortuna di ascoltare e documentare la tua esibizione.

All’interno della fiera ogni anno si svolgono diverse esibizioni live, e quest’anno ho avuto la possibilità di presentare, in uno di questi spazi, il mio nuovo disco. Ero preoccupata perché si trattava di proporre per la prima volta il mio lavoro, cantato in inglese, a dei native speaker. Temevo che i testi potessero non essere compresi, che la pronuncia si potesse rilevare inadeguata. Ma devo confessare che alla fin dei conti è andata bene. I riscontri sono stati molto buoni. È stato un test molto importante per me e averlo superato una grande soddisfazione.

 

Progetti per il futuro?

Tra marzo e aprile lavorerò su cose nuove, che annuncerò a brevissimo attraverso i social. Per il momento non posso anticipare granché. Posso dire che mi sto occupando del nuovo disco, che sarà un LP, per il quale ho già registrato alcuni brani. È un periodo decisamente pieno, ma ci stiamo dando da fare e nel giro di pochissimo tempo, ci saranno un po’ di novità.

 

Grazie mille Irene e in bocca al lupo!

Grazie a te! E a Brincamus! A presto!

 

A cura di Simone La Croce

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Nel giardino di Irene Loche: blues, passione e tanto talento