Il termine patchanka, così come l’avevano concepito i Mano Negra, è stato spesso abusato negli ultimi decenni, fino a diventare una amalgama indefinita di musiche che hanno finito per travisarne il significato e soffocarne la spinta propulsiva. Trovare oggi un gruppo che cerchi di ridare dignità a questo genere-non genere è evento più unico che raro. Noi di Brincamus ci siamo riusciti e oggi ve li facciamo conoscere. I Barrio Sud, formazione sassarese di nascita ma figlia del sud per vocazione, si raccontano per voce di Denise Gueye, Marco Fais e Francesco Simula, rispettivamente, voce, basso e chitarra acustica. Hanno appena concluso con successo la campagna di crowdfunding per la realizzazione del nuovo disco Cuentos (racconti, ndr), che vedrà la luce a brevissimo, e ora lo stanno promuovendo in giro per la Sardegna. Li abbiamo incontrati a Cagliari, prima della loro esibizione al Corto Maltese dello scorso 28 giugno, per capire qual è veramente il messaggio di cui si fanno portatori, dove nasce questa loro esigenza del racconto e per tastare con mano l’effettivo spessore della loro musica. E dopo il concerto possiamo ricambiare il complimento e affermare, con certezza e senza retorica, che i Barrio Sud sul palco sono proprio mastelli.

 

Vi presentate come musicisti patchanka, genere senza confini musicali precisi ma spesso con specifici connotati politici, come per gli stessi Mano Negra, che l’hanno coniato, o nel caso degli antesignani Clash. Cosa significa questo per voi, visto che del termine se ne è ampiamente abusato negli ultimi decenni?

Marco: Dopo i Mano Negra, uno dei nostri principali mentori sono stati, e lo sono tuttora, i Sergent Garcia. Abbiamo iniziato a suonare dopo aver sentito il loro primo disco e abbiamo anche avuto la fortuna di suonare insieme a lui a Sassari. Essere dei musicisti patchanka significa non avere confini stilistici e avere molta più libertà di espressione artistica.

Denise: È un modo per viaggiare attraverso la musica senza confini precisi. Ciascuno di noi ha le sue influenze e i suoi percorsi musicali e questo approccio ci consente di farli confluire in libertà nei pezzi che componiamo.

 

Da dove provengono i vostri suoni Caraibici e le atmosfere latine?

M: La nostra patchanka ha una forte matrice latin reggae, con musica caraibica e africana. Vogliamo che abbracci tutto il sud del mondo, da cui anche il nome del gruppo (quartiere del sud, ndr). I suoni provengono da un intenso lavoro di ascolto e di studio delle nuove correnti musicali che arrivano da quei contesti: la musica latina, tradizionale e moderna, non è solo balli di gruppo ma anche tanto latin rap, come quello degli Orishas e dei Calle 13, solo per fare qualche nome.

 

La scelta di cantare in spagnolo e in inglese viene da una vostra necessità di rivolgervi a un pubblico che travalica i confini nazionali?

M: Si, il motivo principale è probabilmente quello. Ma molto è dovuto anche alle lingue utilizzate nella musica che ascoltiamo. L’abbiamo assimilata e fatta nostra, anche e soprattutto, attraverso il canale della lingua.

D: Diciamo che ci piace proprio lo spagnolo, anche se non rinunciamo all’inglese e nel nuovo disco c’è anche un pezzo in italiano. Utilizzare più lingue, anche all’interno dello stesso brano, ci consente di far arrivare il nostro messaggio a un maggior numero di persone.

 

Si è appena conclusa la campagna Musicraiser e siete riusciti a raggiungere l’obiettivo prefissato prima della scadenza. Questo vi consentirà di coprire spese di registrazione, mix e master, la stampa e la realizzazione del videoclip del singolo che anticiperà l’album Cuentos. Com’è andata?

D: Obiettivo raggiunto e superato. Siamo molto felici del risultato ma in realtà è stato un lavoro piuttosto duro. C’è stata tutta la parte di promozione che effettivamente si è rivelata piuttosto impegnativa. Siamo musicisti e dovremmo passare il tempo a suonare (ridono, ndr). Un risvolto decisamente positivo è stato il confronto con chi ci segue e con chi ci ha dato una mano. Musicraiser ha anche contribuito a far girare il nome della band e per noi ha costituito un pretesto per poter fare un po’ di fotografie, girare dei video e produrre del materiale parallelo da pubblicare per farci conoscere.

M: In realtà il gruppo (ri)nasce tra l’anno scorso e quest’anno: esclusi noi due, la formazione è stata completamente rinnovata rispetto al primo disco a nome Barrio Sud del 2010. Lo stiamo vivendo come un nuovo gruppo e, anche nella promozione, cerchiamo di ripartire da zero.

Francesco: Anche la musica è cambiata: prima, probabilmente, era più tecnica mentre ora è più sperimentale, anche perché nel frattempo si sono stratificati tanti ascolti e parecchie influenze che dieci anni fa non avevamo.

 

Il vostro album si chiama Cuentos, che significa racconti. Cosa volete raccontare e perché questa esigenza del racconto?

D: Ai testi e ai contenuti è stata data molta importanza nella realizzazione dell’album. Preziosa in questo senso è stata la collaborazione con Michele Sini, che ci ha aiutato tanto sia con la lingua sia nella stesura dei testi. Sono bellissimi e sono davvero felice di cantarli. Abbiamo cercato di raccontare quello che ci circonda e quindi non poteva che venirne fuori un disco di denuncia: i testi sono molto forti e vorrebbero essere di grande impatto politico e sociale. Parlano di immigrazione, di terra e di natura, delle contraddizioni della modernità ma anche amore.

M: Mentre il primo disco, che si chiamava El Viaje, era un viaggio immaginario tra i diversi stili che ci contraddistinguevano, questo racconta le nostre esperienze e le nostre impressioni su quello che abbiamo visto nelle diverse realtà con le quali ci siamo confrontati.

D: I testi sono nati proprio dalle storie raccontate fra noi, in maniera del tutto informale e dove ci capitava. Michele ha saputo cogliere quanto avevamo da dire e lo ha messe in rima. È stato un lavoro corale molto bello, di condivisione vera.

 

Come e dove avete intenzione di promuovere il nuovo album?

M: Questa estate lo porteremo in giro il più possibile, andando dove ci chiamano senza un disegno ben preciso. Oggi abbiamo finito di girare il videoclip del primo singolo, che faremo uscire qualche settimana prima del disco.

D: La nostra intenzione è quella di andare in Spagna e in Sud America. Cantiamo in spagnolo e ci piacerebbe andare giù a far sentire i nostri pezzi.

 

È bello questo concetto del giù… (ridiamo, ndr)

M: Il delitto perfetto sarebbe fare come molti artisti sudamericani che durante l’estate suonano in Europa e d’inverno tornano a suonare giù.

D: E il fatto che siamo tutti grandi amanti dei viaggi non ci complicherà certo le cose…

 

Un saluto al clan Brincamus?

D: Ringraziamo tantissimo tutti i ragazzi per quello che stanno facendo per noi e ci auguriamo che questa collaborazione continui ancora per tanto tempo. Siamo stati loro ospiti di recente e ci hanno accolto, sfamato, coccolato come dei figli e fatto sentire a casa. All band avevo detto subito “Iscriviamoci a Brincamus perché sono mastelli” (ridono, ndr). E così è stato. Mandiamo tanti baci a tutti.

 

Intervista a cura di Simone La Croce

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PER SAPERNE DI PIÙ SUI BARRIO SUD

>> La scheda

 

La patchanka dei Barrio Sud: da Sassari all’America Latina, per abbracciare il sud e cantarne le contraddizioni
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