SlimFit

Gli Slim Fit sono in attività da circa sei anni e, dopo due EP, usciti nel 2012 e nel 2015, qualche giorno fa hanno pubblicato il loro primo LP Vimini. Il titolo anticipa molto di quelli che sono stati gli intenti della band nella realizzazione dell’album: qualcosa di nuovo che non sentisse il peso del tempo e di cui andare orgogliosi anche tra vent’anni. Come quegli oggetti di vimini che sembrano non invecchiare mai. 

Dieci brani elettro-pop di ottima fattura, anticipati dal singolo Stroboscopio uscito lo scorso novembre. Dieci brani freschi ma, allo stesso tempo, pieni di suoni che guardano al passato senza troppa nostalgia. Dieci brani registrati in una Casa Cantoniera nel parco dei Sette Fratelli, senza internet e smartphone perché i ragazzi della band potessero comunicare meglio tra loro.

Un album con aspirazioni pop, nel senso più ampio del termine, e non scontato. Risultato, quest’ultimo, non semplice da ottenere in un momento in cui il “pop”, inteso come propensione musicale, ha raggiunto apici qualitativi molto elevati, specie per band molto giovani e prive di grandi apparati di produzione alle loro spalle. Non a caso i ragazzi sono stati notati qualche tempo fa dai Sikitikis, band di punta della musica indipendente isolana, con i quali hanno collaborato per la stesura di un loro brano. A questo si aggiunge, inoltre, una oculata cura dei particolari, dai videoclip, alla produzione artistica, passando per il missaggio, e una buona dose di autoironia.

Qualche giorno prima della pubblicazione hanno sancito il loro ingresso nel clan Brincamus e noi diamo loro il benvenuto con questa intervista corale, con la quale speriamo di farveli conoscere un po’ meglio e invogliarvi, con il loro aiuto, a seguirli dal vivo e ad ascoltare l’album, possibilmente, come loro stessi suggeriscono, ad alto volume.

 

Siete attivi dal 2010 ed è appena uscito il vostro primo album, che segue due EP pubblicati nel 2012 (1963) e nel 2015 (Alberto). Stavate lentamente valutando il da farsi oppure, quella per Vimini, è stata una gestazione lunga?

Fare un LP di questi tempi è solo una fra le varie opzioni possibili. Crediamo che Vimini nasca dalla voglia di lavorare in modo più oculato, più maturo. Era necessario per noi. Quando siamo partiti con la stesura dei brani, abbiamo sentito la necessità di metterci a lavorare finalmente a qualcosa di ambizioso.

 

Avete registrato Vimini in una Casa Cantoniera nei pressi di Burcei, sui monti dei Sette Fratelli. Com’è andata e come mai avete scelto un luogo così particolare?

E’ stata una delle esperienze più belle da quando suoniamo. Non solo a livello musicale. E’ stato straordinario soprattutto a livello umano. Bisogna immaginare un posto dove i cellulari non ricevono, senza TV e internet. Tutte le interferenze svaniscono e si comunica meglio. Ci si ascolta di più. Non volevamo registrare in un classico studio di registrazione. Gli studi di registrazione sono asettici, impersonali. Volevamo che il luogo condizionasse il sound del disco. Stare lì per giorni ha fatto sì che si creasse una sintonia difficilmente raggiungibile in uno studio convenzionale. Questo ci ha permesso di lavorare molto bene, anche negli orari più improbabili.

 

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Anche nella scelta dei videomaker – Joe Bastardi e Sensational Gianni – e delle caratteristiche dei vostri videoclip non siete stati mai banali. Sensibilità che si percepisce anche negli artwork dei vostri lavori. Perché è importante dare il giusto risalto anche agli aspetti più prettamente “visivi” della vostra produzione musicale?

Il videoclip è come un vestito per un appuntamento importante. Quando si esce a fare un giro possiamo usare la prima cosa che troviamo nell’armadio. Ma quando l’occasione è importante, rivolgersi a un buon sarto e farsi confezionare il vestito adatto può fare la differenza.

 

Il pop viene spesso tacciato di faciloneria e identificato come la musica mainstream per eccellenza. Questo è in parte vero, come pur vero è che riuscire ad arrivare alla stesura finale di un buon pezzo pop non è affatto semplice e occorre tanto lavoro. Con il senno di poi, come la vedete questa faccenda del pop?

Il pop, a differenza del rock o dell’hip hop, non è un genere musicale. Il pop è un contenitore un po’ più ampio. Anche un brano rock, quando diventa famoso, è anche contemporaneamente pop. Quello che dici è vero: fare del buon pop è difficilissimo perché comunicare a più persone possibile senza essere superficiali e approssimativi, è un’autentica impresa. Quindi meglio scrollarsi di dosso questo pregiudizio. Ascoltando Vimini ad esempio.

 

Il titolo dell’album intende alludere ad una equilibrata compresenza di elementi della tradizione e dell’attualità. In che modo questa vostra necessità è stato preservata all’interno dell’album?

Ci siamo trovati subito d’accordo sul fatto di non voler fare fare un disco rincorrendo le mode del momento. Volevamo qualcosa di cui essere orgogliosi anche tra 20 anni. Volevamo che il nostro disco fosse un po’ come quegli utensili fatti di vimini, che non sentono il peso del tempo.

 

Come mai la scelta della superstizione come argomento perno intorno al quale girano i brani dell’album, coraggiosamente scritti in italiano?

Stesso discorso. La superstizione è un argomento tanto antico quanto attuale. Quando crediamo di aver superato i retaggi del passato, ci sorprendiamo a leggere l’oroscopo. Quando ci laureiamo in matematica, ci lamentiamo della sfortuna.

L’italiano invece è stata una necessità. Abbiamo ritenuto di dover scrivere e cantare in una lingua che conosciamo in modo approfondito. Cantare in una lingua diversa dalla propria implica, il più delle volte, dover rinunciare al rigore e alla precisione che le parole devono significare. Ed era nostro intento esprimere con esattezza il concetto, la suggestione, l’emozione che devono avere parole nei nostri brani. Inoltre la pronuncia di una lingua straniera deve essere perfetta, altrimenti non è credibile.

 

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La qualità del suono e della produzione pare essere molto elevata in Vimini. Quanto c’è del produttore Fabio Demontis in questo risultato?

Tanto. Abbiamo pensato che dargli massima libertà gli avrebbe consentito di lavorare con maggiore passione e intensità. Fabio Demontis è un’eccellenza sarda. La scena della nostra Isola ha bisogno di persone con la sua esperienza e col suo talento.

 

Tempo fa ho chiesto a Diablo, cantante e autore nei Sikitikis, di farmi qualche nome, a suo parere meritevole, della scena cagliaritana. E la sua prima scelta siete stati voi. Vi ha descritto come un “[…] gruppo elettropop che abbiamo visto nascere e crescere; fanno della musica destrutturata, molto elettronica ma suonata, superando la forma canzone, un po’ sulla scia degli MGMT. Ricordano molto Talking Heads e tutto quel mondo della new wave a cavallo tra i settanta e gli ottanta.” Paragoni senza dubbio lusinghieri per una band esordiente. Com’è andata la collaborazione con lui e i Sikitikis?

Sono parole davvero lusinghiere. Quando ci siamo formati Alessandro ci ha dato moltissimi consigli, – producendo anche il primo dei nostri EP – e i Sikitikis ci hanno scelto per aprire alcuni dei loro concerti in Sardegna. E’ stato importante perché ci ha permesso di suonare davanti a centinaia di persone. Abbiamo anche dato il nostro contributo alla stesura di un brano per il loro disco Le Belle Cose. E’ stata una collaborazione proficua tra due generazioni differenti. Fatto non scontato di questi tempi.

 

Voi siete nuovi nel grande gruppo di Brincamus. Colgo l’occasione per darvi un caloroso benvenuto e la do a voi per ingraziarvi i nostri follower…

Follower di Brincamus, siete molto belli! Dentro e fuori. Ma soprattutto dentro, quindi Vimini è il disco che dovreste ascoltare. Magari alzando il volume.

 

A cura di Simone La Croce

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>> La scheda

 

La ricetta degli Slim Fit per un buon elettro-pop a base di “Vimini”
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