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The Rocies sono un’altra piacevole anomalia nel panorama musicale isolano. Uno di quei i gruppi che non ti aspetti, al di là delle sintonie musicali di genere. Loro sono un quartetto formato da Anabel Rodriguez alla voce, Stefano Casti al basso e alla direzione musicale, Andrea Sanna alle tastiere e Nicola “Ninu” Vacca alla batteria. Influenzati dalla Timba cubana degli anni ’90, attingono a piene mani anche che dal soul funk e dalla fusión degli anni ’70, e il risultato è un curioso mix di queste culture musicali, per certi versi molto distanti. Un risultato comunque fresco e attuale, realizzato con molta cura dei dettagli e una produzione di alto livello.

Di recente hanno rilasciato il loro primo lavoro, EP#1, edito da Cd Baby/Compagnia Cantante, ed è uscito il loro primo videoclip, del brano Who?, girato negli spazi disegnati dal designer Angelo Ficus all’interno della Casa Museo Antonio Gramsci ad Ales.

Di questo e tanto altro abbiamo parlato con Stefano Casti, compositore e bassista della band, e nell’intervista seguente potrete soddisfare le vostre curiosità su questo progetto.

 

Ciao Stefano. Ci racconteresti com’è nata l’idea del gruppo e com’è andato l’incontro con Anabel Rodriguez?

Ciao Simone. Con Anabel Rodriguez ci siamo conosciuti mentre lei era in tour in Europa nel 2002, con la sua band di salsa Cubana. Durante le date in Sardegna le ho fatto da fonico per un mese e così abbiamo cominciato a frequentarci. I successivi due anni li ho trascorsi a Cuba, mentre dal 2005 ci siamo stabiliti, in maniera grosso modo stanziale, in Sardegna.

L’idea della band è nata dal desidero di Anabel di allontanarsi da un progetto puramente latin e di crearne uno che partisse dalla Black Music degli anni ’70, senza comunque abbandonare del tutto il background della musica cubana.

Dal vivo la formazione vede quattro elementi sul palco – voce, basso, tastiere e batteria – ma ci avvaliamo comunque del sequencer, in modo da avere un formato che riesca ad essere economicamente sostenibile senza però sacrificare il sound che abbiamo in mente.

 

A giudicare anche dal vostro primo videoclip, quello del brano Who?, avete scelto un’immagine molto sixties con un suono però molto più fresco, nonostante, anche in quello, attingiate sempre a quegli anni. E avete anche scelto una commistione di generi e suoni non del tutto usuale. Immagino non sia stata una cosa casuale. È così?

Assolutamente non casuale. Il discorso dell’immagine nasce dal desiderio di discostarci completamente da quella di molti attuali artisti cubani, a nostro avviso spesso volgare. Ci piacciono però, ad esempio, il suono e le idee – anche se meno i testi e i vestiti – dei vari esponenti della Timba aggressiva degli anni ’90, di Ng, La Banda, Klimax, Mamborama & co. Loro avevano aggiunto un pizzico di funk alla musica cubana. Noi abbiamo semplicemente messo un po’ di salsa su una base Black.

Quello dei The Rocies resta comunque un progetto aperto. Stiamo scrivendo del materiale nuovo che ha sonorità un po’ più “urban” e che, in futuro, potrebbe essere portato in giro anche con una formazione differente da quella attuale, tenendo ovviamente come punto di riferimento la voce di Anabel.

 

Quali sono state le principali influenze musicali in questo senso? Sia come singoli musicisti, sia come suono finale della band.

Tutti noi abbiamo degli ascolti molto variegati, ma penso che il soul funk e la fusión degli anni ’70 costituiscano la base comune sulla quale lavoriamo maggiormente. Mi riferisco a dischi, anche strumentali, quali quelli degli Headhunters e dei Weather Report. Oppure grandissimi artisti come Marvin Gaye, Stevie Wonder e Donny Hathaway. Ma ci hanno influenzato nella scrittura anche autori di bolero tradizionale, come Josè Antonio Mendez, che usavano spesso delle soluzioni armoniche jazzistiche nelle loro composizioni.

 

Sempre a proposito del videoclip. Come mai la decisione di girarlo nella Casa Museo Antonio Gramsci ad Ales?

Nel corso dei decenni scorsi purtroppo la Casa Museo Antonio Gramsci di Ales ha perso molte delle sue caratteristiche originali. Nel tempo, al suo interno, ha anche ospitato un bar e una sala prove. Recentemente è stata ricostruita e riqualificata sotto la direzione del designer Angelo Figus e ora è un posto stupendo, anche se credo sia ancora chiuso.

Registrare lì il videoclip è stata una bella idea del videomaker Andrea Ledda. Il Comune di Ales è stato molto gentile a concederci lo spazio per un giorno.

Infine, ultimo ma non meno importante, pensiamo che qualsiasi scusa per ricordare Antonio Gramsci e il suo messaggio sia sempre buona e ne abbiamo approfittato senza pensarci troppo!

 

Avete all’attivo solo l’EP EP#1, edito da Cd Baby/Compagnia Cantante, ma portate in live un repertorio di oltre un’ora e mezzo, composto per buona parte di pezzi inediti. Come mai questa scelta? Avete altro materiale pronto ma ancora inedito?

Si, abbiamo pubblicato un solo EP, ma in realtà abbiamo pronto materiale per quasi due album. Oggi per una band come la nostra, che si affaccia sul mercato, non ha molto senso secondo me pubblicare un LP. Preferiamo far uscire il materiale un poco alla volta, in modo da tenere costante l’interesse nel progetto. La vera sfida è autofinanziarsi e trovare il tempo da dedicare alla promozione.

 

In concerto eseguite anche alcune cover, che generalmente la dicono lunga su voi musicisti e sulle vostre radici culturali. Ci potete dire quali sono queste canzoni e come mai le avete scelte?

Eseguiamo Searching di Roy Ayers, un classico ripreso successivamente da molti artisti della scena Black Music. È dotato di un mood che si lega bene al nostro repertorio di inediti ed è il nostro tributo ad un artista ancora poco conosciuto. Spesso apriamo suonando anche degli standard jazz, suoniamo sempre almeno un blues, di solito The Blues is Alright di Little Milton. Si tratta di brani che semplicemente ci diverte suonare.

 

A giudicare dai primi 4 pezzi inseriti nell’EP, proponete musica di respiro internazionale realizzata con un’ottima produzione strizzando un occhio al miglior pop oggi in circolazione. Questo dimostra che avete investito tanto nel progetto e sembrerebbe denotare tanta ambizione (finalmente!) per un gruppo nato in Sardegna. È cosi?

Si, ti ringrazio del complimento. Le canzoni sono state prodotte con la massima attenzione, prendendoci tutto il tempo necessario per farlo e registrando con un approccio spesso molto “purista” per quanto riguarda il suono. Congas, clap, tromba, trombone, chitarre, rhodes sono assolutamente reali, non abbiamo inserito nessun campionamento. I campioni e l’elettronica ci piacciono tantissimo ma non usati nell’ottica del vorrei ma non posso. Se ci occorre una sezione fiati “classica” da R&B anni ’70, la arrangiamo, chiamiamo i musicisti e la incidiamo. Il risultato ripaga sempre lo sforzo.

Anche la fase tecnica di registrazione e mix è stata molto curata, partendo dalla scelta dei microfoni, come si faceva un tempo, e mixando su una splendida console analogica. Il mastering dell’album è stato realizzato invece da Stefano Lucato.

Ci sono state molte collaborazioni che hanno contribuito alla nascita di questo lavoro, e che mi preme ricordare. Ad esempio quelle con Marco Coa e Andrea Pilloni che ci hanno messo a disposizione i loro studios. Quelle di Kike Quintana, Massimiliano Coni, Damian Carrera, Gianluca Locci e altri musicisti che hanno inciso alcune parti per noi. Quella della Compagnia Cantante, che organizza i nostri live e ha stampato l’Ep, decidendo di usare delle custodie usate per ridurne l’impatto ambientale. L’unico modo secondo me di far crescere il mercato musicale dell’isola è fare rete e produrre lavori competitivi nel mercato internazionale. Il genere importa poco. La qualità e il sostegno reciproco, assolutamente si.

 

Infine vi chiederei di fare un saluto ai ragazzi di Brincamus…

Certo, siamo estremamente orgogliosi di farne parte. È una iniziativa molto importante e nobile e speriamo di avervi prima possibile ai nostri concerti! Vi salutiamo tutti e anche a voi auguriamo un buon 2017, sperando sia un grande anno per la musica e la cultura prodotta in Sardegna.

 

A cura di Simone La Croce

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SE VUOI SAPERNE DI PIÙ SU THE ROCIES

>> La scheda

 

The Rocies, ovvero come fondere sapientemente Black Music, soul-funk e musica caraibica
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