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Il grande calderone dello stoner ha trovato in Sardegna terreno fertile per mantenersi vivo e attivo e in questi ultimi due decenni almeno è cresciuta una scena, nel suo piccolo, di tutto rispetto. Gli Elepharmers quella scena l’hanno alimentata sin dalla sua nascita e ora ne sono senza dubbio uno degli elementi di spicco. Guido “El Chino” Solinas, Andrea “Fex” Cadeddu, Maurizio Mura e Matteo “Baro” Carta hanno militato in diverse band prima di mettere insieme questo progetto, ma hanno sempre lavorato sodo per trovare “una direzione più decisa” e “un’idea di suono più precisa e marcata”. Ci sono riusciti con il loro ultimo album “Erebus” (Go Down Records, 2016), fatto di lunghi brani, suite strumentali, suoni che si rifanno ai grandi degli anni 60 e 70, ma anche chitarre acustiche e organi. Riviste di settore, radio e webzine lo hanno osannato con recensioni entusiaste. La Go Down Records, che ha sposato sin dagli esordi il loro sound, ha riconfermato la fiducia nei confronti dei ragazzi producendo anche il loro ultimo lavoro e la recente mini-tournée che li ha visti girare il nord Italia. Abbiamo incontrato “El Chino” e ci siamo fatti raccontare qualcosa di più sul loro background, sulla genesi dell’album, sul loro misterioso ultimo videoclip, sulle recenti esperienze fuori dall’isola e su questa prolifica scena musicale che hanno contribuito a rendere molto apprezzata anche, e soprattutto, all’estero. Buona lettura.

 

Ciao Chino. Il vostro secondo e ultimo album Erebus è uscito nell’autunno del 2016. Quello che emerge a un primo ascolto sono brani di 10-11 minuti, lunghe suite strumentali in linea con la tradizione, ma anche chitarre acustiche e suono di organi. Come lo raccontereste voi invece?

Ciao Simone. Per Erebus siamo venuti fuori con le idee un po’ più chiare rispetto all’album precedente (Weird Tales from the Third Planet, Go Down Records, 2013, ndr), che, oggettivamente e con il senno di poi, è stato un lavoro più esplorativo. Nei 3 anni che sono trascorsi dalla pubblicazione di quel lavoro abbiamo pian piano individuato una direzione più decisa e sviluppato un’idea di suono più precisa e marcata. I pezzi nascono da jam session improvvisate in sala prove, una delle ragioni per cui sono presenti brani anche molto lunghi all’interno del disco. Quei brani sono effettivamente nati in quel modo e anche in fase di registrazione abbiamo deciso di non snaturarli e di lasciarli così come erano stati concepiti. Erebus sicuramente ci ha soddisfatto probabilmente più del primo album, perché siamo riusciti a incidere quello che realmente avevamo in testa. Mentre il primo album è stato registrato in maniera più casalinga, per Erebus abbiamo deciso di andare in uno studio di registrazione per fare le cose in maniera più professionale e per dare maggiore qualità al suono.

 

Il vostro sound è un mix tra hard rock, stoner e grunge peso e psichedelico, con qualche puntatina forse sui progenitori del genere tra anni ’60 e ’70. Chi sono i vostri gruppi di riferimento?

Un tratto comune a tutti i membri degli Elepharmers sono – e lo ammettiamo senza vergogna – senza dubbio i Black Sabbath. Ci hanno influenzato tantissimo e non ci stupiamo quando sentiamo nei nostri pezzi richiami importanti ai loro riff. E come loro tanti altri altri gruppi fondamentali della musica di quegli anni, come Pink Floyd, Iron Butterly o Jimi Hendrix. Poi tutto il filone degli anni ’90: Kyuss, Fu Manchu e Monster Magnet su tutti, i quali mi hanno fatto capire che era possibile suonare la musica degli anni ’70 con un piglio moderno. E quella è stata in qualche modo l’illuminazione definitiva che ci ha spinto a percorrere questa strada: scoprire che musiche “vecchie” di 40 anni potevano essere rivisitate in chiave contemporanea, con ampi margini di sperimentazione e di innovazione. In alcuni di noi anche il grunge ha avuto molta influenza, specie in gruppi come i Soundgarden nei quali l’influenza dei Black Sabbath è sempre stata molto forte.

 

Dalla fine delle registrazioni alla pubblicazione è passato quasi un anno. Cos’è successo in quel lasso di tempo?

Il ritardo, se così si può chiamare, è stato in parte dovuto ai tempi dell’etichetta stessa. La fine delle registrazioni è coincisa con un momento in cui erano state programmate altre uscite per la Go Down Records e per evitare sovrapposizioni non funzionali a nessuna delle band dell’etichetta abbiamo fatto slittare l’uscita. Questo, a onor del vero, ci ha anche concesso di tornare sul mixaggio iniziale e correggere il tiro su alcune scelte che qualche mese dopo non ci sembravano più ottimali. Con il senno di poi anche quell’anno è stato utile.

 

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Ad ogni modo l’album ha ricevuto una vagonata di recensioni positive su webzine come Perkele e Raw and Wild, riviste come Freakout e Fire, oltre a parecchi passaggi in radio nazionali ed estere. Ottime prime impressioni, mi pare…

Tutto questo è entusiasmante per noi. Tanti feedback positivi sono già arrivati e altri continuano ad arrivare. In questo disco noi abbiamo messo, come sempre, tanta passione e tanto impegno. Non è un genere per il quale abbiamo dovuto improvvisare né tantomeno al quale ci siamo accodati per “moda“. È il nostro genere musicale. Lo suoniamo da più di 10 anni e ci crediamo tanto. Abbiamo lavorato tanto per trovare una nostra visione del genere e sentire che quello che siamo riusciti a fare viene apprezzato in questo modo per noi è grande motivo di orgoglio.

 

Come siete arrivati alla veneta Go Down Records che ha pubblicato il disco?

La Go Down Records è ad oggi una delle etichette più importanti della scena stoner e heavy rock a livello nazionale. Noi li abbiamo conosciuti intorno ai primi anni duemila. Abbiamo incontrato Max Ear “boss” dell’etichetta e batterista degli OJM, durante un concerto nel trevigiano. Ci siamo conosciuti e siamo rimasti in contatto. Dopo qualche anno ci siamo rincontrati durante le date degli OJM in Sardegna. Gli Elepharmers erano ancora alle prime esibizioni ma avevamo già i primi brani in scaletta e i ragazzi della OJM, in quella occasione, ci avevano visto suonare live. Gli eravamo piaciuti e ci siamo lasciati che una volta pronto il master del nostro album di esordio glielo avremmo fatto ascoltare. Così è stato infatti, la Go Down ha deciso di produrlo e la collaborazione è continuata negli anni in modo assolutamente proficuo, da tutta una serie di tour sul territorio nazionale fino alla produzione di Erebus.

 

Siete appena rientrati da una mini tournée di cinque date nel nord Italia. Lo “stoner” made in Sardegna in genere è molto apprezzato fuori dall’isola. Anzi, forse anche più apprezzato. Com’è andata? Avete avuto dei buoni feedback?

Anche queste date sono nate grazie alla collaborazione e al supporto logistico della Go Down. La mini tournée è andata alla grande. Sono state cinque date in cinque giorni consecutivi, tra Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Lombardia. Credo di poter dire che abbiamo fatto delle buone performance e il pubblico ci ha sicuramente dato conferma di questo sentore. È stata un’ottima occasione per prendere nuovi contatti, stringere rapporti con musicisti e addetti ai lavori in generale e farci sentire da persone che mai ci avevano sentito fino ad oggi. Una sorpresa molto positiva è stata scoprire tra il pubblico ragazzi che ci avevano visti in una delle nostre precedenti tournée per promuovere il primo album, ragazzi che hanno fatto anche parecchi chilometri per venire a sentirci ancora. Abbiamo avuto modo di suonare nuovamente a Torino, con i Black Wings of Destiny, grande band con la quale più volte ci è capitato di condividere il palco in passato. Una delle cose più belle che la musica consente di costruire negli anni sono proprio tutti questi rapporti e amicizie durature interne alla scena, basate sull’affiatamento e sulla collaborazione. Puoi non vederti per tanti anni ma ogni volta è come se ci si fosse lasciati il giorno precedente.

 

Non è stata la vostra prima esperienza fuori dall’isola. Oltre ad aver già suonato in Italia, avete anche calcato i palchi tedeschi e aperto per band del calibro Karma to Burn, Red Fang, Electric Moon, Mars Red Sky e OJM. Quale di queste esperienze ricordate con più piacere e perchè?

Personalmente ricordo con grande piacere e emozione tutte le volte in cui ho suonato con i Karma To Burn, una delle mie band preferite in assoluto. Come è stato bellissimo andare a suonare in Germania con i Raikinas, band di Ossi. Sono molto più giovani di noi ma hanno una grinta e una preparazione oggettivamente invidiabile. Molto positive anche le esperienze con gli OJM che hanno portato al nostro ingresso nella Go Down Records, e con i tedeschi Electric Moon, che in qualche modo abbiamo contribuito a lanciarli con Monolithix.

 

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A proposito di scena “stoner” in Sardegna: ormai da parecchi anni a questa parte è una scena musicale sempre molto viva, in tutte le sue diverse “forme”, doom, psych, blues, con molti gruppi molto validi e tanto apprezzati anche all’estero, grazie anche a parecchie etichette molto intraprendenti e anche a una serie di eventi con risonanza internazionale. Vivendola dall’interno, che idea vi siete fatti a riguardo?

Noi seguiamo il “genere” da tanti anni, e da altrettanto tempo cerchiamo di alimentare e fomentare la passione per questa musica in Sardegna. Dalla prima ondata dello stoner degli anni ’90 noi, ma anche tanti nostri amici, abbiamo iniziato ad appassionarci e a cercare di riproporne i fasti suonandola in giro. In Sardegna ci sono tante band che lo hanno proposto a alti livelli già in quegli anni. Tra i primi sicuramente i Wild Duck che poi sono diventati i Clench, gruppo nel quale suonava Fabrizio Monni, poi artefice dei Black Capricorn. Lui in particolare è uno di quei personaggi che tanto ha dato alla scena, spingendola con i dischi e i concerti delle band nelle quali ha militato, specie nel cagliaritano. Dopo quelle esperienze qualcosa ha iniziato a muoversi anche nel resto dell’isola, fino alla concretizzazione di realtà consolidate come può essere oggi, anche collaterali e di supporto alla scena. Con Andrea Cadeddu e Matteo Carta già cinque anni fa abbiamo messo in piedi l’Associazione Culturale Monolithix grazie alla quale siamo riusciti a far suonare nell’isola band di rilevanza internazionale. A Ossi (SS), con l’etichetta Electric Valley, che sta spingendo band molto interessanti anche oltre i confini dell’isola, che hanno trovato nell’etichetta una spalla affidabile per la produzione dei dischi, e organizza ogni anno un festival molto apprezzato. C’è comunque tanto fermento e ogni soggetto contribuisce come può alla vitalità della scena. Le band sono assolutamente valide, così come gli eventi che vengono organizzati: tanta qualità, attenzione da parte della scena internazionale e ottima risposta da parte del pubblico sardo.

 

Il vostro nuovo videoclip del pezzo Cannibal Supernova, tratto da Erebus, diretto dall’esordiente Alessio Orrù, è colmo di immagini di megaliti, menhir, tombe dei giganti e pozzi sacri. Ce lo potete raccontare meglio?

In parte abbiamo voluto riprendere alcune immagini presenti nell’artwork del disco. Ma noi abbiamo sempre avuto la passione per l’archeologia, la storia e il mistero che avvolge quel genere di monumenti megalitici e di edifici di culto. Sono suggestioni importanti che ci affascinano molto. Specie il fatto che ai nostri avi piacesse riportare nella pietra le loro idee sul cosmo, utilizzare i megaliti per rappresentare il tempo o, come nel pozzo sacro di Santa Cristina, celebrare le fasi lunari e mantenere un legame costante tra gli elementi, tra terra e cielo, tra acqua e luce. Per evitare l’effetto documentaristico, nella realizzazione del videoclip Alessio Orrù ha utilizzato filtri ottici, colori particolari e effetti psichedelici, che hanno contribuito ad enfatizzare tutti questi aspetti di cui ti ho parlato. Anche nei nostri testi ci sono molti richiami all’astronomia, alla fantascienza e al mistero: ci piace scoprire la storia ma anche fantasticare su alcuni fenomeni o sui perché gli “antichi” ci abbiano lasciato in eredità segni e simboli di questo tipo.

 

Infine vi va di fare un saluto ai ragazzi di Brincamus…?

Gli Elepharmers salutano con grande calore l’Associazione Brincamus, con la quale abbiamo avuto modo di passare un po’ di tempo anche durante quest’ultimo mini tour, grazie a Giancarlo Palermo che è venuto a sentirci nelle ultime date. È un grande piacere per noi collaborare con Brincamus, mettete tanta passione in quello che fate e, come ho già detto, è un approccio che condividiamo e che a noi piace tanto.

 

A cura di Simone La Croce

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Suoni monolitici e richiami seventies: lo stoner secondo gli Elepharmers
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