tenoreSosEmigrantes

 

 

Mossi dalla passione per il canto a tenore e dalla lontananza dalla terra natìa, nel 2011 un gruppo di giovani emigrati sardi nel Nord Italia, dopo un lungo processo di incontro, scambio e ricerca, ha deciso di mettere in piedi l’Associazione Culturale Tenore Sos Emigrantes.

E subito hanno iniziato a macinare concerti, partendo dai circoli dei sardi fino ad arrivare a calcare palchi nazionali e internazionali di prestigio, come il Castello Sforzesco a Milano. Un percorso lungo e non privo di difficoltà, non ultima quella di trovare una combinazione sonora che permettesse a voci provenienti da mode diverse, di stare insieme all’interno dello stesso coro. Ci sono riusciti grazie anche al forte spirito di coesione che li anima e all’amicizia che li lega.

Abbiamo approfittato di questo spazio per farci, e farvi, dare dai Tenore Sos Emigrantes qualche informazione in più sul canto a tenore, ormai conosciuto in tutto il mondo ma ancora poco esplorato se non dagli addetti ai lavori. Ne è venuta fuori un’intervista corale piena di contenuti e curiosità che non mancherà di catturare anche i non appassionati. Buona lettura.

 

Ciao ragazzi!

Salude a tottus e ben trovati!

 

Una delle caratteristiche che salta subito all’occhio è il fatto che tutti voi viviate fuori dalla Sardegna, cosa più unica che rara per un gruppo a tenore. Com’è che avete deciso di intraprendere questa strada? Era una passione già condivisa o avete fatto proselitismo e aggregato i componenti cammin facendo?

Per rispondere a questa domanda occorre fare una piccola premessa. Noi prima di tutto siamo degli emigrati: per motivi di lavoro, in anni anche differenti, ognuno di noi ha preso la propria valigia ed è partito dalla Sardegna. L’emigrazione crea dentro l’animo dei sardi – e non solo in loro – una forte nostalgia del proprio essere, della propria identità. Questo fa sì che l’attaccamento alla propria terra sviluppi uno spiccato senso di appartenenza che porta a riproporre, anche a distanza, quello che si viveva quotidianamente prima di partire. Nel nostro caso riproponiamo la tradizione del canto a tenoreNegli anni che abbiamo vissuto fuori dall’isola, abbiamo conosciuto e ritrovato tanti cantori, tutti emigrati, che sono riusciti a mantenere vive le proprie radici culturali, riproponendo la tradizione grazie alle loro capacità vocali. Questo significa che noi non siamo una rarità, ma semplicemente dei sardi emigrati orgogliosi della propria provenienza che, anche a distanza, sono rimasti sempre gli stessi. Non abbiamo fatto altro che continuare – anche se in maniera che potremmo definire “straordinaria” – il nostro cammino, e riportare anche in “Continente” le cose che facevamo nei nostri luoghi d’origine. Forse giusto con un piglio diverso, con quel coraggio in più che serve per salire sopra un palco.

Stando fuori dalla Sardegna la componente nostalgica ha fatto da traino e ci ha portato a intraprendere una ricerca di voci per cantare a tenore. Nel tempo siamo così riusciti a mettere insieme un gruppo di ragazzi che già in passato avevano cantato a tenore e con cui condividere questa passione. Abbiamo iniziato a conoscerci e incontrarci e, nonostante qualche cambio di formazione, per cause di forza maggiore, siamo riusciti a creare un gruppo coeso e affiatato che dura tutt’oggi.

 

Siete anche abbastanza giovani. Altri musicisti della vostra generazione che decidono di fare musica insieme, generalmente lo fanno per formare una band. Voi invece avete deciso di mettere su un tenore. Com’è andata?

Beh intanto grazie per i giovani! Sicuramente siamo partiti dalla Sardegna con qualche anno in meno rispetto ad ora. Abbiamo età diverse, qualcuno più grande, qualcuno più piccolo, ma quando siamo insieme queste differenze non le sentiamo.

È difficile paragonare un gruppo di canto a tenore con una band musicale. È più corretto accostarlo a una corale. Il nostro gruppo si è costituito durante le feste sarde nei Circoli della FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia, ndr), tramite i passaparola e i social network. Dopo diversi incontri iniziali, abbiamo preso coscienza delle nostre capacità e, avendo deciso di promuovere e divulgare la conoscenza del canto a tenore, ci siamo costituiti nell’Associazione Culturale Tenore Sos Emigrantes, in modo da dare forma a tutti i progetti che avevamo in mente.

 

A vostro modo di vedere, il cantante a tenore è un musicista come gli altri o c’è dell’altro?

Non crediamo che chi canta a tenore possa essere considerato un musicista come siamo abituati a intenderlo oggi. Prima di ogni altra cosa è un appassionato e un artista. È qualcuno che crea un suono mediante le corde vocali senza uno spartito musicale, ma che ha imparato il canto solo grazie alla trasmissione orale. Non esiste un pentagramma, non esiste una nota o una chiave musicale di lettura. A sviluppare la capacità di eseguire questo canto è l’orecchio. E l’istinto, nel quale ogni passaggio e ogni variante vengono creati nei giusti canoni. È un canto primordiale, ispirato, secondo alcuni, dagli stessi animali e dalla natura con i suoi suoni. Scritti antichissimi parlano di cantori sardi che emettevano dei suoni particolari, con modalità vocali che fanno pensare al canto a tenore. Chi canta a tenore è pastore e contadino, ma può essere tranquillamente muratore, fabbro o barista. Questo non significa che sia per tutti. Chi lo fa deve essere in grado di dargli un senso e una logica di pensiero, per trasformarlo in sonorità con la voce. Quindi non puoi dare del musicista al cantante a tenore. Non perché non capisca di musica, ma perché la musicalità nasce dall’interno, nella testa e nell’orecchio ancor prima che nelle corde vocali. È qualcosa di meno standardizzabile e inquadrabile rispetto alla musica prodotta con gli strumenti musicali, che risponde a regole fisiche più rigide.

 

Il canto a tenore è conosciuto in tutto il mondo ma pochi sanno in che cosa consista realmente. Come lo spiegheresti a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare?

Il canto a tenore nasce da un gruppo vocale che produce un canto armonico molto particolare, per la presenza di due suoni gutturali che lo rendono unico al mondo, tanto da essere stato riconosciuto come Patrimonio dell’Unesco.

Nel modo in cui è fatto, il canto a tenore è stato spesso associato al canto gregoriano, che si basa sul tetragramma, ossia lo spartito di quattro righi musicali. Anche nel canto a tenore ci sono quattro voci: il basso, la contra, che sono connotati da un suono gutturale, la mezzavoce e la voce. E’ un canto polivocalemonotonale, usa i mezzi toni solo in certi frangenti. La voce del basso, che si ottiene raschiando le corde vocali, è ferma in un punto fisso, che si chiama “il punto”, e dà la nota, conferendo continuità al canto. La contra, a partire dal punto del basso, ricama e “gioca” con i mezzi toni. La mezza voce è più libera di giocare con la contra, e ha un’armonia più lineare. Nella tradizione di alcuni paesi è più dominante la contra, in altri la mezza voce.

 

Il canto a tenore in Sardegna ha avuto nel tempo molte declinazioni. Spesso con differenze minime tra un progetto e un altro, spesso con importanti innovazioni e sperimentazioni. Da questo punto di vista, ritenete il vostro canto più vicino ai modelli tradizionali o avete inserito caratteristiche innovative rispetto a quanto già fatto?

Partiamo da un principio fondamentale. Il canto a cuncordu, hussertu, consonu etc – comunemente chiamato canto a tenore – è in sé un canto armonizzato. In questa particolare armonia, a nostro modo di vedere, è difficile inserire altri contesti sonori se non quelli adiacenti alla tradizione e, anche in questo caso, solo con alcune eccezioni. Alcuni musicisti internazionali hanno inserito e collaborato con grandi artisti, sperimentando e innestando strumenti a corde, a fiato oppure altre vocalità. Il risultato può essere gradevole in certi casi e in altri no. Ma sotto questo aspetto noi preferiamo essere tradizionalisti il più possibile. Non crediamo sia nostra competenza inserire altri contesti musicali, differenti dai nostri di origine, in un equilibrio così delicato come il canto che proponiamo.

 

A tal proposito, un’altra vostra particolarità è quella di avere all’interno del vostro organico più voci provenienti da diverse tradizioni: quella di Orgosolo, quella di Orune e quella di Nuoro. Ci avete dovuto lavorare molto o siete riusciti ad amalgamarvi facilmente?

È proprio questa è la nostra vera particolarità, il fatto di proporre una formazione con tre differenti trajos, voci guida. Infatti, provenendo da paesi diversi, con caratteristiche differenti di sonorità, molto legate al modo di parlare il sardo di quei paesi, ci siamo dovuti bilanciare l’un l’altro. La moda di Orgosolo è diversa da quella di Orune: il primo cantato è più aperto mentre il secondo più chiuso. Poi è subentrata la moda di Nuoro, che ci ha permesso di mediare, a livello di sonorità, tra le due, agevolata anche dal fatto che due terzi del coro provenivano proprio dal capoluogo barbaricino.

Le difficoltà non sono mai state poche, ma hanno agevolato molto la nostra unione, accompagnato la nostra esperienza e fatto sì che si creasse un’anima sonora importante. Il fatto di esserci ritrovati fuori dall’isola è stata una fortuna, e ci ha portato a creare qualcosa di unico e particolare, e forse è proprio questo che alimenta in noi la passione per quello che facciamo.

 

Com’è il responso del pubblico durante le vostre esibizioni fuori dalla Sardegna? Vi vengono a sentire solo gli emigrati o vi capita di incontrare qualcuno che, non sardo, viene a sentirvi cantare perché appassionato di canto a tenore?

Il fatto che ci sia o meno la predominanza di sardi come pubblico ai nostri concerti dipende dal tipo di evento e dal luogo in cui si svolge. Grazie anche ai grandi gruppi a tenore che ci hanno preceduto, abbiamo però sempre trovato una grande varietà di pubblico che già conosceva il canto. 

È un canto difficile da proporre perché in limba, spesso incomprensibile a molti sardi stessi, i quali, non conoscendo il contenuto di determinati brani o poesie, non capiscono i versi durante l’esibizione. In alcuni casi ci hanno chiesto di preparare dei libretti con i testi dei brani che saremo andati a proporre, come per l’opera al Castello Sforzesco, alla Palazzina Liberty, al Teatro di Treviglio, dove il pubblico era prevalentemente non sardo. Ma, in generale, chi non capisce le parole rimane più affascinato dal suono delle voci

Alla fine dei conti questo canto affascina sempre tanto chi non lo conosce. E anche in Sardegna, dove esiste già un seguito e una tradizione consolidata, siamo stati accolti con entusiasmo. Qualche volta abbiamo anche ricevuto delle critiche perché non tutto il nostro passaggio canoro è corretto. A volte sbagliamo, non ce ne accorgiamo, e quando ce lo fanno presente a noi fa piacere.

 

Infine, vi va di fare un saluto al clan Brincamus?

Salutiamo tutti i lettori e gli appassionati di canto a tenore, che incitiamo ad appassionarsi sempre di più, senza dimenticare il senso primario di questa forma d’espressione: l’unione, l’amicizia e la voglia di star bene insiemeE grazie a voi di Brincamus, per tutto il lavoro che fate per la nostra cultura e la nostra tradizione musicale.

 

 

A cura di Simone La Croce

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>> La scheda

 

Cantare la tradizione lontani dalla propria terra: il Tenore Sos Emigrantes
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