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King Kietu, aka Alberto Monaco, oggi affermato producer, è partito come tanti dalla chitarra. E come tanti che hanno iniziato così per seguire quella strada, ha sempre avuto la vocazione alla scomposizione e al cambio di direzione. La sua curiosità lo ha spinto così verso il Dub, nel quale ha trovato uno “strumento” in grado di soddisfare le sue necessità espressive. Ne esalta la capacità evolutiva proponendo musiche fortemente legate all’ambiente e al territorio.

Contestualizzazione ma anche tanta contaminazione: dallo stile “agropastorale” dei primi progetti – tra cui il pionieristico Tostoine –  alla realizzazione di librerie di suoni per la Soundethers, King Kietu ha saputo spaziare tra stili e generi anche molto diversi tra loro. Tra le sue attitudini spicca, per importanza, la tendenza alla condivisione e allo scambio delle conoscenze; insegnare, per lui, rappresenta “il modo più efficace per imparare“.

Ma in fondo l’essenza vera del Dub probabilmente è rappresentata proprio dalla contaminazione e dall’apertura mentale verso nuovi orizzonti, presupposti fondamentali ai quali è possibile arrivare solamente attraverso la condivisione e la collaborazione. E dopo anni di esperienza, con innumerevoli partecipazioni in progetti e sperimentazioni, King Kietu darà alla luce il suo primo vero album solista, che a questo punto siamo curiosissimi di ascoltare.

In questa intervista ci racconta dei suoi esordi, di cosa si cela dietro i suoi tanti cambi di direzione e dei suoi progetti, attuali e futuri. Buona lettura.

 

Iniziamo con le presentazioni. Potresti spiegare meglio ai nostri follower chi sei e in cosa consiste la tua attività di producer, visto che tra progetti, collaborazioni e produzione vera e propria, si trovano robe anche molto diverse fra loro?

Da quando ho preso per la prima volta una chitarra in mano, ho avuto l’attitudine a scomporre, arrangiare e mettere sempre del mio nella musica che ho suonato. Credo che questo modus operandi sia rimasto fino ad ora. Ho difficoltà a riprodurre la musica uguale a come è stata suonata da altri o a come l’ho composta io in origine. Sento sempre la necessità di modificarne la direzione, lo schema e il suono. Ho bisogno di sentirlo mio. In questo senso Il DuB mi gratifica molto perché è un genere molto elastico, storicamente nato proprio su presupposti di riorganizzazione e modifica del materiale audio originale. Si presta molto alla mia attitudine e al mio carattere. Mi capita di suonare musiche che hanno stili differenti tra loro e il DuB mi offre la possibilità di esplorarne la capacità evolutiva. È un genere che ha ancora tanto da dire e da esplorare. Mi stimola molto percorrere più strade tenendo ferma sempre l’origine: i pionieri del DuB, giamaicano e inglese, e il territorio in cui vivo.

 

Hai iniziato a fare il producer molto presto, nel 1999. Quasi vent’anni fa. Sei stato uno dei pionieri del Sound System in Sardegna, tra i primi a suonare il dub nelle feste paesane. La tua biografia riporta che agli inizi ti sei trasferito a Lodè, un piccolo centro della Baronia con Dr Boost (aka Bustianu Piras) per studiare le tradizioni e la cultura della Sardegna. Ci puoi raccontare brevemente com’è andata?

Anche se già da diversi anni suonavo la chitarra elettrica in alcune band, credo che quell’esperienza abbia rappresentato per me l’inizio di un nuova epoca. Conoscevo già il DuB da diversi anni ma solo in quel periodo decisi di iniziare a suonarlo. Più che uno studio sulla Sardegna e le sue tradizioni è stata una ricerca interiore su come io percepivo la vita in Sardegna. Avevo bisogno di un luogo isolato dove suonare a qualsiasi ora e pensare in silenzio. Privilegio che chi vive nella confusione della metropoli credo desideri come il pane. Ho vissuto sotto il monte Montalbo a Sant’Anna, a Lodè, un posto molto bello. Vi consiglio di farvi una passeggiata.

 

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È nato così il progetto Tostoine? In cosa consiste lo stile “agropastorale” con il quale hai “etichettato” buona parte della tua produzione, da quei tempi fino ad oggi?

Esatto. Proprio in quell’anno è nato il progetto Tostoine che ha significato molto per me e penso anche per i più giovani che ci hanno seguito in quel periodo in Sardegna. Molti di questi ora suonano, producono, organizzano festival e riconoscono il ruolo storico che ha avuto Tostoine per la nascita di un movimento più radicato. Questo riconoscimento mi gratifica molto. La definizione di suono agropastorale mi è sempre piaciuta, la considero una translitterazione nostrana del concetto di musica delle radici (Roots). È stato senza dubbio un progetto pioneristico per la Sardegna.

 

Altri due passi molto importanti nel tuo percorso artistico – e non solo vista la tua influenza sui tanti musicisti con cui hai collaborato e che ti hanno seguito – sono stati l’avvio del Big Island Studio e dell’etichetta Big Island Family. Da quel momento è stato un susseguirsi di riconoscimenti e apprezzamenti in generale, anche a livello internazionale. Generalmente per musicisti “emergenti” non è affatto semplice uscire dai propri confini nazionali. Come siete riusciti (tu, Dr Boost, Shakaroot e Rootsman I) a creare della dance hall hit a livello europeo? 

La scelta di farmi uno studio è nata inizialmente da una esigenza puramente economica e di tempistiche. Ho bisogno di molto tempo a mia disposizione per comporre in serenità e affidarmi ad altri studi mi era inaccessibile. Ho acquistato le mie prime apparecchiature e ho iniziato a studiare molto le tecniche di missaggio. È venuto da sé iniziare a collaborare anche con altri artisti che si affidavano a me per le loro produzioni. Molte di queste hanno poi “saltato” il mare e spesso le ho seguite fisicamente, suonandole dal vivo.

 

Un tuo illustrissimo collega, Steppa Lion – membro anch’egli della famiglia Brincamus – in una recente intervista ha dichiarato che “Quando non funziona qualcosa o per qualsiasi problema tecnico, Kietu è una delle persone più autorevoli che conosca, il santo a cui appellarsi. Anche lui figo come pochi”. Sei una specie di Mr. Wolf dell’ambiente?

Ringrazio Steppa Lion per la citazione e i complimenti. Tra i produttori c’è molta condivisione delle conoscenze. Il modo più efficace per imparare credo sia insegnare agli altri. Capita spesso che mi chiedano informazioni tecnico/artistiche. Mi piace essere d’aiuto quando posso ed imparo sempre tanto a risolvere i problemi tecnici degli altri. Un problema di qualcun altro in futuro potrebbe essere un problema mio. Lo scambio di cultura e di conoscenze è sempre proficuo per tutti.

 

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L’anno scorso hai ripreso la tua attività dal vivo e quest’anno è prevista l’uscita del tuo primo disco solista vero e proprio. Ci vuoi anticipare qualcosa? Quando e come, ad esempio…

Ho dedicato molto tempo al lavoro in studio, meno all’attività dal vivo perché non trovavo il tempo e le energie per fare entrambe le cose. Il contatto con le persone e esibirmi live sono gli aspetti della mia attività che adoro maggiormente. Suonare oltretutto fa molto bene all’attività in studio perché puoi testare live l’impatto sul pubblico della tua musica. Quando lavori unicamente in studio ti devi affidare a feedback indiretti che, se anche affidabilissimi, non lo saranno mai come l’esperienza diretta. Ora ho trovato un buon equilibrio e riesco a conciliare meglio il lavoro in studio e l’attività dal vivo. Per quanto riguarda il mio album ho molto materiale in cantiere ma è ancora troppo presto per poter anticipare qualcosa.

 

Sul tuo Soundcloud è possibile anche ascoltare qualcosa che si discosta non poco dalla tua produzione principale. In progetti come Soundethers o lo stesso Sardinia Bass Legalize proponi musica elettronica di stampo più triphop, ma soprattutto più urbano che agropastorale. È stato un episodio o è una strada che intendi percorrere ancora? Te lo chiedo perchè il risultato mi è parso piuttosto buono…

Soundethers è una piccola ma robusta azienda che produce librerie di suoni molto interessanti, di stampo sopratutto ambientale e cinematico. Mi hanno chiesto di fare alcune demo per dimostrare la qualità dei suoni proposti. La loro richiesta mi ha fatto molto piacere ed ho composto le demo, con cuffia e laptop, in viaggio, tra cabine di navi e vagoni dei treni, senza nessun vincolo di genere. Ho semplicemente seguito quello che mi ispiravano i suoni. Il risultato mi piace molto e le librerie di suoni hanno una qualità elevatissima.

Sardinia Bass Legalize ha una consapevolezza di suono nuova. Una sorta di agropastorale 2.0. Nella mia fase originaria, più istintiva, per far suonare “sarda” una produzione inserivo molti canti a tenore strumenti tradizionali, una via sicuramente efficace e percorribile ancora adesso. Ma nel progetto Sardinia Bass Legalize, a mio avviso, è avvenuta un’evoluzione importante. La terra si è fusa completamente con il suono. Il legame con il territorio non ha più avuto bisogno di essere richiamato con campionamenti o registrazioni riconoscibili come tradizionali. Noto con piacere che dei tanti feedback che ricevo per questo progetto, i più rimarcavano la percezione, durante l’ascolto, dello sposalizio del suono con l’ambiente in cui sono immersi. In Sardegna come in India o in Norvegia. Io e Sensitive Dub abbiamo trovato una formula molto internazionale a mio parere. E’ uno dei progetti a cui tengo di più e spero di poter fare un nuovo lavoro molto presto.

 

Infine, ti andrebbe di fare i tuoi saluti ai ragazzi di Brincamus?

Vi ringrazio per l’intervista e mando un grande abbraccio a tutto lo staff e i soci di Brincamus.

 

A cura di Simone La Croce

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SE VUOI SAPERNE DI PIÙ SU KING KIETU

>> La scheda

 

King Kietu, pioniere del Dub in Sardegna
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