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Beppe Dettori si destreggia nel mondo della musica da oltre vent’anni. In questo lasso di tempo si è affermato come autore e compositore, ha sviluppato incredibili doti canore e ha collaborato con alcuni dei più grandi nomi del panorama pop-rock italiano. Non pago, a un certo punto della sua carriera, si è sobbarcato la responsabilità di prendere il posto del compianto Andrea Parodi nei Tazenda per poi rimettersi in gioco con una rinnovata carriera solista. Durante una lunga intervista ci ha raccontato dei suoi esordi, delle sue esperienza nel mondo discografico, dell’incontro con Andrea Parodi e di come questo lo abbia segnato e accompagnato negli avventurosi inizi con il gruppo. Un’enorme varietà di aneddoti e rivelazioni, che, per questioni di spazio e con grande rammarico, non siamo riusciti a inserire tutti all’interno di un’unica intervista. Tranne, forse, quella più succulenta che farà felice i suoi fan più affezionati e non solo. In fondo all’intervista capirete quale. Buona lettura.

 

Prima della pubblicazione di Umano troppo umano, il tuo primo disco solista hai collaborato con artisti del calibro di Ron, Vasco Rossi, Enrico Ruggeri, Gatto Panceri e Gianluca Grignani, e hai scritto per i Ragazzi Italiani ed Eros Ramazzotti. Se dovessi scegliere una di queste esperienze, quale sarebbe quella che ti ha segnato maggiormente?

Sceglierei sicuramente quella meno nota ma che si è rivelata una delle più incredibili della mia carriera fino a questo momento: quella di compositore per il musicista statunitense Josh Groban. Ho collaborato alla composizione del brano Canto alla vita, inserito nell’omonimo album di esordio, uscito nel 2001, che ha venduto 6.500.000 di copie in tutto il mondo. Il pezzo è stato composto in team e io ho scritto gran parte della musica. Il pezzo porta la firma, e il contributo fondamentale, di Antonio Galbiati e Roberto Scarpetta, mentre i testi sono di Cheope (Alfredo Rapetti Mogol, ndr). Vanta inoltre un featuring dei The Corrs. Il brano è rimasto in un cassetto per tanto tempo fino a che, per una serie di peripezie, arriva a David Foster, produttore di fama internazionale, il quale decise di inserirlo all’interno dell’album di debutto dell’allora sconosciuto Groban. Contro ogni nostra più rosea aspettativa, l’album vendette nei primi due mesi ben 1.500.000 copie, ma quello che mi rese più orgoglioso furono i complimenti del signor Foster per la musica e l’esecuzione del brano.

 

Sempre a proposito di collaborazioni illustri. Il singolo del tuo ultimo album Abba, uscito l’anno scorso, ha visto la collaborazione di due monumenti della musica in Sardegna: Paolo Fresu e i Tenores di Bitti “Remunnu ‘e Locu”. Che apporto hanno dato al pezzo e a te come musicista?

Anche di questo brano ti devo raccontare la genesi, che risale fino al 1999, anno in cui è stato composto. In quel periodo il brano fu provinato da Eros Ramazzotti per l’album Stile Libero. Il brano, che ancora non si chiamava Abba ma Belongs to you, cantato in fake english, piacque molto a Ramazzotti e venne inserito nella playlist di circa 40 brani dalla quale pescare per l’album. Lavorarono sul testo musicisti come Renga e Renato Zero, oltre a diversi parolieri che lavorano correntemente con grandi nomi del panorama nazionale. Nessuno riuscì però a calzargli un testo in italiano. Ci ho provato anche io, ma inutilmente. Finché non capii che l’unica lingua che potesse funzionare per quel brano era il sardo. Non c’erano alternative. Non potevamo che inserirci anche due pilastri come Paolo Fresu e i Tenores di Bitti. Paolo si è inserito per primo nel brano, registrando due tracce lunghe, una migliore dell’altra. Non immagini quanto duro sia stato dover tagliare quelle registrazioni. La prima stesura superava i cinque minuti e l’editing è stato feroce. I tenores, che hanno partecipato anche in altri due brani, si sono dimostrati di una umiltà e di una flessibilità incredibili, arrivando a cantare anche in tonalità minore, contrariamente alla maggior parte dei cori a tenore che canta in tonalità maggiori. Come d’altronde è stato bravissimo ed estremamente disponibile anche il launeddista Andrea Pisu. Devo anche ringraziarli perché alla fine si sono fidati delle mie idee, contribuendo con molta umiltà all’arrangiamento dei brani e a farli «rotolare» prendendosi il risalto che il loro apporto musicale meritava.

 

Dal 2006 al 2012 ti sei preso la grande responsabilità di sostituire Andrea Parodi alla voce dei Tazenda. Puoi raccontarci come’è andata realmente?

Prima di suonare nei Tazenda io ho fatto tutt’altro mestiere. Lavoravo dietro le quinte come compositore. Venivo da qualche anno buono ma in quel periodo era diventato complicatissimo piazzare i brani causa il declino delle vendite. Mi sono guardato intorno e ho realizzato il disco Kapajanka, composto in chiave world music mischiando diversi linguaggi, musicali e non. Durante la promozione del disco Andrea Parodi venne a sentirmi a una trasmissione televisiva e chiese di incontrarmi. Di sua sponte uscì di casa (nonostante la malattia fosse ad uno stadio già avanzato) e venne da solo al ristorante chiedendo di me. Preoccupatissimo andai alla sua macchina e lui, inaspettatamente, mi riempii di complimenti e mi diede quelle due dritte di cui ancora faccio tesoro. Mi infuse un entusiasmo incredibile che, a mia volta, cercai di trasmettere anche a Gino e Gigi (Gigi Camedda e Gino Marielli, rispettivamente chitarrista e tastierista dei Tazenda, ndr) una volta entrato nel gruppo. Entusiasmo amplificato, per me almeno, dalla possibilità di aumentare finalmente le mie esibizioni dal vivo, senza alcuna velleità di scalare classifiche o fare duetti di importanza internazionale.

Arrivarci è stato “semplice”. Sostituirlo all’interno della band invece com’è stato? Le sue “dritte” si sono rivelate utili?

Nella band ci entrai in punta di piedi con l’umiltà di chi sta andando a sostituire un colosso della musica. Nel 2007 abbiamo iniziato a registrare alcuni pezzi inediti e io sono andato in giro a proporli agli agenti per i quali lavoravo abitualmente. Molti di loro hanno tentato di scoraggiarmi, facendomi presente il rischio che l’esperimento potesse sapere di minestra riscaldata e che la mia carriera ne potesse risentire pesantemente. Io mi sentivo sereno, forte anche dei consigli di Andrea, il quale, prevedendo queste reazioni, molto serenamente mi disse di non curarmi delle critiche di chi affermava che sarei risultato molto lontano dalla sua voce e che non sarei arrivato al suo livello. In quella occasione mi disse anche di apprezzare molto le cose che avevo fatto fino a quel momento ma che non mi avrebbero permesso di arrivare dove, secondo lui, avrei meritato. Secondo lui nell’album Kapajanka c’erano delle idee valide che ben si sposavano con quella che era l’impostazione dei Tazenda, aprendomi così la strada e benedicendo a suo modo il mio ingresso nel gruppo. È con questo spirito sono che ci sono entrato. E con la consapevolezza di non aver mai approvato fino in fondo chi va a sostituire, all’interno di una band, musicisti che ne hanno fatto la storia. Un’incoerenza totale (ridiamo, ndr).  Ma l’ho fatto principalmente spinto dagli incoraggiamenti di Andrea. Durante la lavorazione di Vida ho sentito costantemente la sua presenza. In No potho reposare (nella quale Beppe duetta virtualmente con Andrea Parodi, ndr) si è verificata una sorta di channeling, ho sentito una roba che partiva dallo stomaco e arrivava fino alla punta dei capelli. Un’energia che mi ha investito fino a farmi piangere per poi darmi una gioia immensa. Solo a raccontarlo mi viene tutt’oggi la pelle d’oca.

 

Wikipedia racconta che hai cantato parecchie sigle di cartoni animati in onda sulla televisione nazionale, come Sherlock Holmes, Belfagor e Pokémon. Che effetto fa sapere di arrivare alle orecchie di migliaia di bambini e che loro cantano le canzoni interpretate da te?

Un effetto bellissimo. Arrivare davvero a tutti, dai bambini agli anziani, si avvicina molto alla mia idea del successo. Nelle sigle dei cartoni animati la canzone va al di là del significato dei testi e della loro comprensione. Di queste canzoni adoro il fatto che è il suono del testo a emergere e prevalere. E questo consente ad esso di “rotolare” al meglio. Il significato letterario in un brano non deve mancare, ma anche nella mia musica tendo comunque a prediligere il suono delle parole.

 

Nelle tue esibizioni esegui brani tuoi, brani tradizionali ma anche famosissimi pezzi internazionali, spaziando dai Pink Floyd ai Police a Jeff Buckley. Dove credi si possa trovare un buon punto di incontro tra la musica rock e pop più recente e la world music?

Questa è una grande domanda. Mi servirebbe un attimo per rifletterci. (Pausa, ndr).

Se ci pensiamo, negli Stati Uniti le musiche «folkloristiche» sono il folk propriamente detto, il country e il blues, che fondendosi tra di loro hanno dato origine alla gran parte dei generi musicali moderni. La musica moderna è già pregna, in un certo senso, di world music, anche se proprio non nell’accezione che le si dà oggi.

Quello che sono, e quello che ho metabolizzato e messo in scena nel tempo, è il risultato di una serie di studi e di frapposizioni di esperienze. Per me un punto di incontro in questo senso è stato conciliare il suono delle corde vocali con nuove modalità di arrangiamento delle canzoni. Specie nei brani altrui. Stayin’ Alive dei Bee Gees ho cercato di renderla un po’ ragamuffin’ inserendo il canto armonico. Seppur utilizzando gli armonici alti, anche il canto dei tenores stesso è un canto armonico corale. Pensiero Stupendo, cover cantautorale scritta da Fossati e Oscar Prudente, non potevo eseguirla come l’ha sempre interpretata Patty Pravo, in maniera statica e forse un po’ noiosa. Con rispetto parlando. Mescolando due colossi come gli Yes e i Police, le ho dato un piglio rock acustico, con un arrangiamento scarno ed essenziale basso, chitarra acustica e batteria. Cosa che è piaciuta tantissimo, per esempio, a Nek, che voleva inserirlo in un suo album.

 

Sono passati 15 anni e quattro dischi dalla pubblicazione del tuo album d’esordio. Che cosa è cambiato, in questo frangente, in te e nel modo di fare musica in generale?

Personalmente, dopo anni di ricerca sonora a diverse profondità, ho acquisito più consapevolezza e spessore. Riguardo al modo di fare musica, ti posso raccontare quali sono le dinamiche che ho vissuto in prima persona, specie in veste di autore.

Nella scelta dei brani da inserire in un lavoro discografico si oscilla tra l’andare a tentativi, confidando nella fortuna, e il calcolo a tavolino. In questo caso, la scelta dei brani viene effettuata da un team di 8-10 esperti che ricercano la nota e la concatenazione più emozionale. Dietro buona parte dei più grandi successi pop internazionali c’è un lavoro di questo tipo. Una ricerca che però sfocia spesso nel banale. Un genere saccheggiato alla ricerca delle melodie più efficaci è ad esempio il country, nel quale è facile trovare armonie semplici e di immediata comprensione, con buone probabilità di coinvolgimento del grande pubblico. Il pezzo da classifica è invece una magia. Sovente, pezzi che sembrano delle boutade, degli esperimenti giocosi e che sorridendo vengono riposti in un cassetto, spesso si rivelano delle hit con grandi potenziali. Come nel caso del pezzo che ha poi inciso Josh Groban, di cui ti dicevo prima.

 

Rumors danno in uscita un nuovo album. Cosa dovrebbero aspettarsi i tuoi fan da questo nuovo lavoro?

Chi mi segue (1000 di loro hanno già una bozza del disco) credo si aspettino di trovarci quello che propongo dal vivo. Quindi una grande varietà vocale, non solo mia, ma anche da parte dei miei ospiti come i Tenores di Bitti. La scaletta dell’album in realtà è ancora in progress: stiamo lavorando all’inserimento di qualche altro brano.

 

Quindi l’album non è stato ancora chiuso…

No. Lo stiamo tenendo in stand by perché a febbraio c’è un importante appuntamento che non vorrei mancare. Tutte le entità musicali in Italia fanno capo a questo evento e andarci non sarà semplice. Ma arrivarci significherebbe imbeccare la più grossa occasione i promozione che possa capitare a un musicista.

Mi stai dicendo che stai pianificando di andare a Sanremo? Se posso chiedertelo?

Certo. Anzi, che si sappia! (ride, ndr). Non c’è nessun segreto. Perché non provarci? Il brano si può trovare. Più difficile sarà agganciare le persone giuste che ti “instradino” nel modo migliore. Se riusciremo a incastrare tutte le tessere del puzzle, avremo buone possibilità di andarci. Sarà dura ma ci proveremo.

 

In bocca al lupo allora.

Grazie.

 

Intervista a cura di Simone La Croce

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La straordinaria carriera di Beppe Dettori, dall’incontro con Andrea Parodi agli ultimi lavori solisti
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