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Prima di mettere su quella gran bella realtà che sono oggi i The Misty Morning, Mistah Kayman ha preso parte a tanti altri progetti non meno importanti per il Reggae isolano, dal progetto DUBinISLAND con Sista Namely al collettivo Arrokibi Roots. Dieci anni di carriera culminati, o meglio “evolutisi”, come dice lui stesso, in quello che probabilmente il progetto reggae sardo più conosciuto oltremare. Una evoluzione passata anche per big artists come Alpha Blondy, Luciano e Black Roots, ma soprattutto per i palchi di mezza Europa. Chi meglio di lui poteva aiutarci a fare, ancora una volta, un po’ di luce sulla scena reggae isolana. Lo abbiamo raggiunto e ne abbiamo approfittato per parlare, anche con lui, della bella piega presa dalla scena sarda, ma anche di omofobia, impegno sociale e della “orizzontalità” nel reggae. Ci siamo fatti raccontare la sua evoluzione, ciò che lo spinge in quella direzione e, soprattutto, cosa i suoi fan possono aspettarsi dai suoi nuovi progetti. Buona lettura.

 

Prima di diventare il Mistah Kayaman che tutti conosciamo, hai suonato in diversi gruppi chiave della scena sarda, come Askatasuna, DUBinISLAND e Arrokibi Roots. C’è qualcosa di speciale che ti è rimasto da ciascuna di queste esperienze?

Beh, sicuramente ognuna di esse ha lasciato segni indelebili dentro me. Anche perchè ho condiviso idee e visioni musicali con tutti i membri delle band in questione e questo mi ha fatto crescere sia musicalmente sia umanamente. Per gli insegnamenti che mi sono stati offerti, li ringrazio tutti.

 

Come è avvenuto il distacco dagli strumenti e da questi progetti, per approdare al cantato e al tua nuova avventura nel ruolo di singer solista?

Dopo lo scioglimento degli Askatasuna – nei quali ero tastierista e corista – ho iniziato a scrivere e a proporre brani miei. Volevo poter inviare i miei messaggi, esprimere le mie emozioni e i miei pensieri attraverso la musica Reggae. Questo passaggio mi ha dato subito l’opportunità di conoscere altri musicisti con i quali, nel 2009, abbiamo tirato su il progetto DubInIsland, dove ero sempre tastierista e cantante insieme a Sista Namely. Il progetto durò 4 anni e mi diede l’occasione di continuare la mia attività da solista in tutte le DanceHall isolane. All’inizio del 2012, quando ho mollato tutto, mi sono preso il mio tempo e ho iniziato a lavorare seriamente a un progetto tutto mio. I The Misty Morning sono l’evoluzione di tutto ciò.

 

Come singer hai spalleggiato personaggi come Alpha Blondy, Luciano e Black Roots. Niente male, direi. Dall’esterno la scena sembra più aperta e anche i musicisti più affermati paiono più disposti ad aprirsi anche a quelli più “piccoli”. Come mai secondo te nel reggae c’è molta più “orizzontalità” rispetto ad altri generi musicali, comunque, non “di nicchia”?

A dire la verità non credo ci sia distinzione di generi relativamente alla collaborazione e al lasciar spazio ai più piccoli. Forse nel Reggae c’è più “orizzontalità”, ma anche nel nostro mondo ci sono sempre situazioni nelle quali non viene dato spazio ai più “piccoli“, solamente perché ci sono degli standard da seguire. Ma la musica in generale deve unire la gente e credo lo si possa fare solamente collaborando e supportandosi a vicenda.

 

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Con The Misty Morning vi siete formati nella primavera del 2012 ma già nel dicembre dello stesso anno avete fatto la vostra prima esperienza all’estero suonando a Sarajevo, dopo aver vinto The Project “e@m2 – Musica e creatività giovanile”. Che ricordo hai di questa prima esperienza esperienza all’estero?

Per noi è stata una grandissima sorpresa scoprire di dover partire per suonare a Sarajevo dopo neanche 10 mesi di attività. E’ stata veramente un’esperienza indimenticabile anche perchè proprio in quel viaggio abbiamo conosciuto Giancarlo Palermo che per l’occasione ci ha fatto da tour manager. È così che siamo entrati in contatto anche con Brincamus che ci supporta dall’oltremare. E per questo vi ringraziamo tantissimo.

 

Il vostro esordio col botto è proseguito, dopo l’esperienza in Croazia, con l’apertura del concerto di quali Alborosie al Campovolo Reggae Festival e con esibizioni nei più importanti festival europei come Positive River (Italia), Rototom Sunsplash (Spagna), Overjam (Slovenia), riscuotendo grandissimo successo e raggiungendo obiettivi per i quali normalmente serve tempo e sacrificio. Quale è stata – e qual è tuttora, a tuo parere, la vostra marcia in più?

Sicuramente sono state esperienze che ci hanno aiutato a crescere tanto musicalmente. Quando ti trovi in mezzo a tutti quegli artisti, quelli veri, quelli che hanno fatto la storia, apprendi tantissime cose in termini di tecnica e professionalità. Guardare dei Big Artist dal parterre è come stare seduto ai banchi di scuola mentre il professore spiega. Questi festival sono stati per noi pura università.

 

Il vostro esordio discografico risale al 2016, con l’album “Unity”, anche questo molto apprezzato. State lavorando a qualcosa di nuovo? Ci puoi anticipare qualcosa?

Si, a essere sinceri abbiamo già qualcosa in cantiere, ma per il momento non vogliamo anticipare ancora niente. Possiamo solo dire a chi ci segue di restare collegati sulle nostre pagine social, Facebook  e Instagram.

 

Qualche anno fa hai anche iniziato a lavorare seriamente sul tuo progetto solista. A che punto sei?

Si, avevo iniziato a fare qualcosa ma ho dovuto mettere tutto in stand by per vari motivi. Ora sto lavorando a un nuovo progetto che dovrebbe uscire entro l’autunno. Una roba che racconterà un po’ di esperienze personali di questi ultimi anni. Anche per questo restate collegati alla mia pagina Facebook perchè a brevissimo ci saranno delle novità interessanti.

 

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Di recente artisti come Capleton (al quale hai fatto da spalla anche tu), Sizzla e Buju Banton hanno sottoscritto il “Reggae Compassionate Act”, con il quale si impegnano a non pubblicare più messaggi omofobi all’interno dei loro brani. L’omofobia all’interno della scena reggae è un vecchio problema, risalente alla fine negli anni 80, ma, a quanto pare, ancora vivo. Com’è la scena attuale in Sardegna a questo proposito?

Beh, sicuramente non siamo favorevoli a questi messaggi omofobi che la Giamaica ci manda ancora oggi. Purtroppo è qualcosa che fa parte di loro e non è facile fargli cambiare idea, anche se riuscirci sarebbe molto bello. Noi comunque speriamo in un cambiamento. In Sardegna gli argomenti sono molto diversi. Noi parliamo delle situazioni che viviamo qui, dei disagi, dei disastri ambientali causati dalle esercitazioni militari, ma anche di positività, perche senza di essa non sarebbe Reggae.

 

Ho già avuto modo di confrontarmi con altri tuoi colleghi sulla scena sarda e mi piacerebbe farlo anche con te. È appurato che i gruppi e i festival sardi – Sardinia Reggae Festival e il Medio Jamaicano su tutti – sono ormai realtà consolidate e riconosciute a livello nazionale e europeo. La scena italiana è spinta in maniera prepotente dalle regioni meridionali. Non credo sia solo una questione di clima mediterraneo. Che idea ti sei fatto a riguardo?

Io penso che tutto ciò sia dovuto principalmente alla collaborazione. La scena italiana, con artisti validissimi che meritano il massimo supporto, cresce di giorno in giorno. Per noi sardi è molto più difficile uscire dall’isola. Non basta un furgone o un treno per spostarci. Ma credo sia anche uno dei nostri punti di forza, perché ci spinge a migliorare sempre di più.

 

Infine anche a te chiedo di salutare l’Associazione, alla quale so che sei molto legato…

Saluto tutta l’Associazione Brincamus e ringrazio tantissimo Giancarlo Palermo, per tutto il lavoro e l’impegno che mette in qualsiasi cosa faccia. Big Up!

 

A cura di Simone La Croce

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Mistah Kayaman, il reggae che unisce