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Non è semplice inquadrare Giacomo Casti in una “categoria” ben definita. E in fondo, forse, non è nemmeno fondamentale farlo. È attore e grande esperto di musica, instancabile organizzatore di eventi culturali e catalizzatore di spiriti liberi, appassionato di cinema e piacevole intrattenitore, nel senso più nobile del termine. Ma in realtà il ruolo che probabilmente più gli si confà è quello di narratore. Giacomo è, prima di ogni altra cosa, un abile narratore, coinvolgente e appassionato. Ha capito come si raccontano le storie. Storie vissute in prima persona o viste da lontano con gli occhi dell’osservatore più curioso.

Ricava i suoi spazi sempre nei giusti contesti, siano essi un disco dub o un concerto live, e trova sempre il modo di arrivare agli ascoltatori e trascinarli dentro il racconto. Tutte le sue diverse competenze – principalmente musica, letteratura e cinema – confluiscono nelle sue narrazioni e i suoi testi riescono a restituirne sempre una visione estesa e raramente asettica dell’oggetto.

Parecchie importanti realtà culturali sarde annoverano il suo nome tra i responsabili o i promotori, tra tutte il festival di “letterature applicate” Marina Cafè Noir, lo Spazio Antas e il Festival Cuncambias a San Sperate. E questa è forse una delle cose che gli fa più onore, in tempi in cui le iniziative di rilievo meriterebbero maggiore attenzione da parte di tutti. Lo abbiamo incontrato per scambiarci quattro chiacchiere e farci raccontare qualcosa di più sul suo conto.

 

Ciao Giacomo. Sei un artista poliedrico, ti occupi di scrittura e performance, spaziando tra musica, teatro e cinema. Come hai fatto a costruire le tue competenze? Qual è stato il tuo percorso artistico?

Ho iniziato molto giovane, intorno ai 16-17 anni, a cantare in una punk band che nel tempo si è aperta a tutte le contaminazioni possibili. Del resto, eravamo agli inizi degli anni Novanta. Nel frattempo, la passione e i primi passi tra teatro e cinema sono andati ad intrecciarsi con un percorso di studi letterario-antropologico, e con una serie di esperienze lavorative importanti e formative.

 

Il tuo “spazio” teatrale, se così lo possiamo definire, è lo Spazio Antas di San Sperate, un ormai affermato riferimento per il teatro, e non solo, del sud-Sardegna. Di che cosa vi occupate? Quali sono le principali attività che promuovete?

Con il gruppo di Antas Teatro di San Sperate collaboro da così tanti anni che, come a volte succede con i fratelli, ho difficoltà a situare nel tempo i primi passi comuni e le prime avventure. Lo Spazio Antas è la nostra casa, uno spazio creativo e conviviale dove realizziamo le nostre produzioni, i nostri laboratori, i nostri sogni. È anche il luogo dove, ogni anno, lavoriamo alla realizzazione del Festival di Cuncambias, il nostro modo di festeggiare e portare avanti la magia e l’unicità culturale di un paese come San Sperate.

 

Altro rapporto intenso, tra le tue attività, è quello con il cinema. Hai lavorato, tra gli altri, anche con Gianfranco Cabiddu, in occasione dell’episodio di Crimini, scritto da Marcello Fois per la RAI e ambientato a Cagliari. Come è stata questa esperienza nella fiction? 

Un’esperienza interessante, e sono grato a Gianfranco Cabiddu e a Marcello Fois per quell’opportunità. Per quanto quel genere di produzioni siano un po’ lontane dal mio gusto, non c’è dubbio che avere la possibilità di vedere dall’interno macchine produttive così grosse sia molto utile ed educativo.

 

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Il cinema in Sardegna da qualche anno ormai sembra conoscere una piccola rinascita, grazie all’affermazione di una nuova “generazione” di registi e alle innumerevoli iniziative culturali di spessore volte alla sua promozione. Dato il tuo punto di vista privilegiato sul tema, vorremmo sapere se anche tu hai colto, nel cinema sardo degli ultimi due decenni, questo new deal?

Non c’è dubbio che il cinema sardo, al pari della letteratura e della musica (un po’ meno il teatro) abbiano fatto parlare spesso di se negli ultimi anni. Con un culmine intorno al biennio 2004-2005. Credo ci siano diverse ragioni (economiche, storiche, antropologiche) all’origine di questo picco di visibilità e dinamicità. Ma oggi, la cosa più importante è che la qualità delle produzioni sarde rimanga alta. Da questo punto di vista, credo che la politica – intesa in termini generali – dovrebbe fare decisamente di più.

 

Hai mosso i tuoi primi passi nell’universo artistico e comunicativo grazie alla musica, che pare essere sempre molto presente anche nei tuoi spettacoli. In che modo ha condizionato la tua formazione e la tua produzione artistica?

In maniera determinante, direi. Mi sento uno dei tanti figli spuri del punk, seppure fuori geografia e fuori tempo massimo. Per questo, ho sempre pensato che la musica fosse il linguaggio perfetto, e quello più dirompente, per veicolare i messaggi che mi sembrava, e mi sembra tuttora, sia importante trasmettere il più possibile. Sono poi un ascoltatore curioso e onnivoro: dai Fugazi a Miles Davis, da De Andrè alla straordinaria tradizione sarda, dal Dub a Tom Waits cerco di tenere le orecchie il più aperte possibile, in ogni senso.

 

A tal proposito un’altra collaborazione importante è quella con Alberto Sanna e Maurizio Pretta per il reading/concerto Londra Brucia: i Clash, il Punk e altre storie senza futuro, spettacolo a cui immagino tu tenga parecchio, vista la tua passione per il gruppo londinese e per il punk. Vi aspettavate di riscuotere tutto questo successo con lo spettacolo, visto il numero di date che avete collezionato finora e il taglio?

Beh, con Londra Brucia: i Clash, il Punk e altre storie senza futuro sapevamo di andare a toccare un argomento e un gruppo importanti per tante persone, ma non ci aspettavamo una curiosità e un’attenzione così alta, in effetti. Più o meno ovunque abbiamo percepito entusiasmo e senso di appartenenza per Strummer e soci, con una forbice generazionale sempre molto ampia. A Tonara, in particolare, siamo rimasti colpiti dal numero di giovanissimi e dalla loro conoscenza assoluta anche delle più oscure hit della band. In luoghi come quelli, vedi quanto sia stato importante il lavoro culturale di chi ci ha preceduto. Siamo molto fieri di portare in giro, nel nostro piccolissimo, una storia, un’attitudine e dei suoni come quelli espressi dai Clash.

 

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Con l’Associazione Chourmo organizzi da anni il Marina Café Noir, festival di rilevanza ormai non solo regionale, che fonde, in maniera sempre più coraggiosa, letteratura, musica, teatro e cinema. Fusione che, in qualche modo, ben rappresenta anche la tua produzione artistica. Questi ultimi anni avete avuto qualche difficoltà a portare il festival per le strade di Cagliari, ma, per nostra fortuna, siete sempre riusciti a sfangarla. Grazie anche al sostegno di una comunità culturale sempre più attiva e partecipe e allo spirito inclusivo che anima la vostra Associazione. Riuscirete nell’impresa anche quest’anno? 

Sono ottimista. Si avvicina la quindicesima edizione di Marina Café Noir, siamo il Festival letterario più longevo dell’isola, e abbiamo ancora voglia di fare festa coi saperi nelle strade e nelle piazze della nostra città. Sentiamo anche l’esigenza di provare strade nuove, sperimentare, sparigliare un po’ le carte. Sapere di avere una comunità forte di cittadini e di lettori che si riconoscono nel nostro approccio alla cose, poi, è senz’altro il miglior balsamo alle frustrazioni e alle difficoltà. A breve inizieremo a raccontare il nuovo anno.

 

Collabori con tantissimi artisti, molti anche tra gli stessi soci di Brincamus. Ad esempio con Arrogalla, con il quale, assieme a Elena Ledda, Massimo Loriga e Gianmarco Diana (bassista dei Sikitikis) sei anche stato ospite a Musicultura nell’estate del 2016, dove avete portato il vostro lavoro Dub Versus, riscuotendo, tra l’altro, parecchio successo. Che esperienza è stata?

In generale, quella del progetto di Dub Versus è stata un’esperienza molto positiva e arricchente. La collaborazione con Frantziscu Arrogalla prosegue verso il secondo disco di questo progetto, che proprio in questi giorni stiamo definendo e precisando nelle sue linee principali. Avere poi avuto la possibilità e il piacere del confronto con artisti come Elena Ledda, Massimo Loriga o l’ottimo Gianmarco Diana – insieme al quale ho praticamente iniziato una vita fa – è il valore aggiunto di esperienze come queste.

 

Infine, chiedo anche a te, con il quale condividiamo almeno in parte l’ambizione di contribuire in qualche modo alla diffusione delle tante “culture” nostrane al di là del mare, di fare un saluto ai ragazzi di Brincamus.

Un saluto, un ringraziamento per quello che fate e un auspicio: che la musica, l’arte e la cultura sarda vadano il più spesso possibile in giro per il mondo, e che la nostra isola possa essere luogo di scambi e di frequentazioni per tutti, a iniziare dal continente a noi più prossimo: quello africano.

 

A cura di Simone La Croce

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Giacomo Casti e l’importanza di raccontar storie