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I Brinca sono una band con tutte le caratteristiche di un moderno gruppo musicale che suona però un repertorio assolutamente tradizionale. Questo loro approccio si riflette completamente nella loro musica e nel loro atteggiamento durante le esibizioni. I Brinca suonano per far divertire il loro pubblico e, soprattutto, per farlo saltare e ballare, riprendendo, in questo, la vocazione originaria dei balli sardi.

Il progetto prende piede dall’iniziativa di Paride Peddio, promettente organettista nipote del celeberrimo Salvatore Peddio – meglio noto come Bengasi – e di Jonathan Della Marianna, suonatore di launeddas e di tanti altri strumenti storici del background isolano. Al duo si sono subito aggiunti Federico Di Chiara, alla voce e all’armonica, Davide Pudda alle chitarre e ultimamente Mauro Conti alle percussioni.

In breve tempo hanno conquistato un grande consenso di pubblico, riempiendo le piazze, suonando in giro per l’isola, l’Italia e l’Europa, e attirando l’attenzione di riviste del calibro di Blow Up e fRoots.

Le loro esibizioni estemporanee, nelle location più disparate, riescono sempre a coinvolgere i presenti e i video vantano centinaia di migliaia di visualizzazioni su YouTube.

Abbiamo incontrato Paride Peddio e Jonathan Della Marianna e, in questa intervista doppia, ci siamo fatti raccontare la loro storia, l’evoluzione del progetto e il loro approccio alla musica.

 

Siete entrambi molto giovani. Chi vi ha instradato allo strumento, l’organetto nel caso di Paride e le launeddas per Jonathan?

Paride Peddio: Giovane sono io non Jonathan (ride, n.d.r.). Come molti ormai sapranno, io sono il nipote di Salvatore Peddio, meglio noto come Bengasi. Quindi l’organetto e la musica sarda non potevano che essere il mio pane quotidiano. Avevo 4 anni quando cominciai a eseguire le mie prime note sull’organetto, dopo che nonno me lo regalò in quel lontano 1995.

Jonathan Della Marianna: Il mio maestro è Orlando Mascia. Ho iniziato con lui a Escalaplano, dove teneva il corso di musica tradizionale, circa 12 anni fa. Da quel momento l’ho seguito per tutte le sue scuole. Mi ha insegnato a suonare e a realizzare le launeddas. Ma da lui ho scoperto anche tanti altri strumenti tradizionali, come i sulittus, la trunfa e le percussioni, che a mia volta ho potuto insegnare anche nella scuola del mio paese.

 

Immagino che entrambi abbiate fatto una bella gavetta per diventare degli affermati strumentisti. Come, dopo questa gavetta, siete arrivati all’attuale formazione dei Brinca?

P. La mia gavetta è stata abbastanza tormentata: essendo stato mio nonno uno dei più grandi organettisti in Sardegna e Italia, non potevo sbagliare. Quando salivo sul palco le prime volte ero in soggezione e sentivo il peso della sua eredità. Volevo sempre dimostrare che non ero sul palco solo per quel motivo, ma perché un giorno o l’altro sarei potuto arrivare almeno al suo livello. Per quanto riguarda Brinca, è stata un’idea mia e di Jonathan, con la spinta di Andrea Pilloni, Stefano Casti – con cui abbiamo inciso il nostro disco – (già componente de The Rocies, ndr), il grande presidente del Circolo di Stoccarda, Alessandro Spanu, e Francesco Pintore (giornalista a L’Unione Sarda, ndr). Loro hanno creduto veramente in noi.

J. La gavetta è un processo naturale e, se si ha passione, la fame di apprendere non passa mai! Ho trascorso tanto tempo tra le lezioni, lo studio a casa, il taglio delle canne e la costruzione degli strumenti. Poi arrivano le prime soddisfazioni e tutto si lega. Passione, sacrifici e risultati si intrecciano in un unicum. Si conoscono tante persone e tanti musicisti. Così quando trovi il compagno ideale, ti vengono idee come Brinca. Il progetto nasce esattamente un anno fa, dall’idea, mia e di Paride, di voler registrare un disco insieme (il cd omonimo Brinca, ndr). Abbiamo cercato i collaboratori per le varie tracce e, sotto consiglio di qualche fedele esperto – tra cui ricordiamo, con piacere, il presidente di Brincamus Giancarlo Palermo, oltre ai già citati Francesco Pintore, Alessandro Spanu e Stefano Casti – abbiamo messo su il gruppo.

 

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Una delle cose che probabilmente caratterizza il vostro progetto è l’uso di strumenti e musiche tradizionali, con un approccio più fresco rispetto ai molti che vi hanno preceduto in Sardegna nell’ambito dell’etno-folk. Segno che probabilmente c’era un intento ben preciso quando avete avviato il progetto. Qual è stato questo intento?

P. Formare il gruppo è stata una conseguenza del disco. Nessuno di noi ci aveva pensato prima. Il nostro intento è stato da subito creare innovazione nella musica sarda, senza però stravolgerne la tradizione. Federico Di Chiara, che proviene da tutt’altro genere (tra l’altro è direttore del Coro Anninora di Desulo, di cui fa parte anche Paride Peddio, ndr), forse è stato quello ci ha dato l’input.

J. Sin dall’inizio ci siamo imposti di riscrivere la musica tradizionale in modo “effervescente”, che facesse brincare, (saltare, in sardo, ndr) senza essere mai banali e ripetitivi. Siamo stati sicuramente bravi a trovare il giusto mix delle nostre culture musicali di provenienza: l’organetto di Paride, che esprime al meglio i balli di piazza fin dall’epoca di Bengasi, la chitarra di Davide, che viene dal canto in re e dal rock, la voce cristallina di Fede e la sua armonica a bocca, direttamente dal country-blues al ballo sardo! E infine le mie launeddas/sulittus/trunfas, che ho voluto inserire creando effetti e nodas possibili solo con strumenti come questi.

 

Il vostro primo CD Brinca annovera la partecipazione di personaggi di spicco della musica isolana come Beppe Dettori e Elena Ledda. Come ha fatto un gruppo esordiente ad attirare l’attenzione di questi musicisti?

P. Bella domanda! A volte basta semplicemente chiedere. Spesso, soprattutto i giovani musicisti, vedono gli artisti affermati come entità inarrivabili. In realtà quelle che hai citato sono due persone fantastiche. Talenti artistici e umani, sempre ben disposti a fare crescere i giovani con i loro consigli. Il nostro disco è nato grazie a un grande lavoro di squadra. Molte persone hanno collaborato con noi e creduto fortemente in questo progetto. Anche la band è nata in modo spontaneo. Durante le sedute di registrazione si è creato un tale affiatamento tra i musicisti, che era naturale continuare il percorso sui palchi. In futuro speriamo di collaborare anche con altri grandi artisti. Le idee non mancano e grazie anche a Brinca tanti musicisti hanno scoperto la nostra musica.

J. È stato molto semplice. Come d’altronde lo sono loro stessi, persone umilissime che hanno messo a disposizione di Brinca le loro voci e il loro sapere. Li abbiamo contattati e la prima risposta è stata un sì senza alcuna esitazione. Grandioso! Con Elena Ledda abbiamo fatto molto in fretta: impressionante è stata la sua professionalità e la sua sensibilità musicale. Con Beppe Dettori nondimeno abbiamo osato in due pezzi. “Fatemi sentire e io vi seguo” è stato il suo approccio. Così abbiamo ri-arrangiato A Diosa di Salvatore Sini. Con lui abbiamo anche condiviso il palco in una serata a Muravera, registrando il pienone. Quelle con Elena e Beppe sono state grandi esperienze e, le loro, si sono rivelate subito soprattutto importantissime lezioni.

 

Avete raccolto recensioni molto positive da tantissime riviste, anche internazionali, di musica, tra cui Blow Up e fROOTS. Che sensazione è stata veder riconosciuto il proprio lavoro anche da parte della critica specializzata, generalmente molto esigente per questo genere musicale?

P. Quando parlano bene di quello che fai è sempre bello. Il disco è uscito ai primi di maggio. Non è passato nemmeno un anno, ma i riscontri sono stati davvero fantastici: critica e testate specializzate hanno apprezzato la nostra proposta. Le maggiori riviste internazionali hanno speso parole bellissime per il nostro lavoro. Speriamo che questo contribuisca a dare maggiore visibilità al disco e, soprattutto, alla band. Dopo l’esperienza live del 2016 contiamo di portare il progetto all’estero. Abbiamo suonato spesso fuori dall’Italia, ma ci piacerebbe fare altri concerti. Al momento ci stiamo concentrando sul prossimo tour.

J. Una sensazione bellissima, anche perché realizzi che il tuo lavoro è stato spulciato e criticato da veterani del panorama folk e della world music mondiale. Parliamo di riviste che sfornano recensioni e classifiche ogni giorno. Per noi è un onore leggere su quelle pagine i nostri nomi, i nostri strumenti e i nostri paesi di origine. Blow Up e l’inglese fRoots hanno evidenziato il passaggio dal vecchio al nuovo, inserendo pure il disco tra i loro primi 100! Bellissime anche le recensioni del belga Le Canard Folk, della tedesca Folker, le inglesi Songlines e Mustrad, con Rod Stradling, e le italiane Lineatrad e Il Giornale della Musica. Anche i nostrani Gianluca Dessí di Blogfoolk, Giacomo Serreli de L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna hanno dato ampio risalto all’album. Grande soddisfazione anche per essere stati trasmessi da alcune radio internazionali come Radio Dublin City, Radio Evolucion Burgos, dell’amico Alfonso Diez Austin, e delle milanesi Radio Città Bollate e Radio Cernusco Stereo, o venire ospitati da I due di Via Venturi di Sardegna 1 e TiriTiri di TeleSardegna Nuoro.

 

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Sono celebri i video delle vostre esibizioni improvvisate nelle location meno usuali, dove siete riusciti a coinvolgere e far ballare persone che non erano lì per ascoltare voi. Per un musicista è una bella soddisfazione. Qual è la sensazione più ricorrente quando vi ritrovate in queste situazioni dove è la spontaneità, vostra e di chi ascolta, a far scoccare la scintilla?

P. Sì, è vero: quando siamo insieme, per noi ogni posto diventa un palcoscenico. Basta vedere il video che abbiamo pubblicato poco tempo fa sui social e su YouTube, dove suonavamo semplicemente per ingannare l’attesa dell’imbarco in aeroporto. In quell’occasione andavamo a Stoccarda. Su Facebook il post del video, in poco tempo, ha raggiunto la bellezza di quasi 1 milione di visualizzazioni. Penso che la nostra forza stia nella spontaneità e nell’allegria che trasmettiamo. Credo che solo così sia stato possibile riuscire a coinvolgere tutte quelle persone, che non erano lì per ascoltare noi, ma che stavano semplicemente prendendo un aereo.

 

 

Avete suonato in giro per l’Italia e l’Europa, affrontando piazze molto diverse fra loro. Quale di queste esperienze ricordate con più piacere?

P. Io e Jonathan ormai suoniamo insieme da parecchi anni e non c’è un’esibizione in particolare, perché tutte hanno una loro storia e una loro emozione. Di tutte conserviamo ricordi bellissimi. Con la band al completo ricordo sempre con gioia le uscite a Stoccarda, Udine e Copenaghen. Senza tralasciare la stagione super in Sardegna dell’estate scorsa.

J. Solo quest’anno, oltre le 40 serate in terra sarda, siamo stati alla Festa dei Popoli di Stoccarda, suonando tra la gente e durante la serata organizzata dal Circolo Su Nuraghe. Poi siamo ripartiti immediatamente per Udine, ospiti del Circolo Montanaru, per affrontare subito dopo un mini tour scandinavo, che ha toccato Copenaghen, Helsingor e Malmo. Più che ricordarne una in particolare, conservo il ricordo degli incontri e delle facce stupite ed emozionate delle persone. La nostra tradizione è davvero incantevole!

 

Infine, a voi veterani del clan Brincamus, chiedo di fare un saluto allo staff e un brevissimo bilancio di quanto fatto finora con l’Associazione.

P.&J. Ci sentiamo in dovere di salutare tutto lo staff di Brincamus e di ringraziare il grande Giancarlo Palermo per averci dato la possibilità di entrare a far parte di questa grande famiglia. Spero sia l’inizio di una lunga avventura insieme che porti grandi soddisfazioni a tutti. Vi mandiamo un grande abbraccio.

 

A cura di Simone La Croce

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Brinca, tradizione e modernità all’insegna del divertimento