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Manuela Mameli, nonostante la sua giovane età, è ormai una delle artiste di punta del jazz e della world music internazionale. Il suo curriculum vanta già esperienze di tutto rispetto come l’esibizione a Cagliari di quest’estate all’European Jazz Expo e la partecipazione, da finalista, all’ultima edizione del Premio Andrea Parodi, dove ha presentato, con il suo quartetto e Paolo Carrus, il brano in Sardo Sa stella.

Manuela ha saputo, grazie alle sue grandi doti vocali, ricavarsi uno spazio importante nella world music, coniugando con delicatezza canto Jazz e musica tradizionale Sarda. E forse proprio questa sua duttilità l’ha portata ad attraversare i continenti per una lunga e impegnativa trasferta nella Repubblica Popolare Cinese, durata quasi tre mesi, dal 1° aprile al 25 giugno di quest’anno. L’abbiamo incontrata per sapere com’è andata e che cosa si prova a suonare in un Paese apparentemente così lontano, non solo geograficamente, dalla cultura occidentale nella quale è cresciuta.

 

Ciao Manuela. Di questa tua lunga trasferta in Cina, siamo veramente curiosi di sapere tante cose. Innanzitutto ci racconteresti come sei arrivata a suonare così lontano e in un Paese così diverso dalle piazze a cui sei abituata?

La Cina non era una meta programmata, non era tra le mie prospettive. Ci sono arrivata su invito di un prestigioso jazz club cinese, punto di riferimento di appassionati che vengono a visitarlo da tutto il mondo. Un club che si trova in una “piccola” città di 2 milioni di abitanti, a 200km da Shanghai, la città di Hangzhou, che tra l’altro è stata la sede dello scorso G20 a settembre.

Mentre mi trovavo al Poetto a mangiare un piatto di spaghetti ai ricci, ho ricevuto un’email da un collega pianista, Matteo Scano, un sardo a Bruxelles, che mi ha inaspettatamente fatto questa proposta.

 

Ma raccontaci. Quanto è durata? Com’è andata? Dove ti sei esibita e cosa hai avuto la possibilità di proporre?

Questa mia avventura cinese è durata tre mesi. Tre mesi molto intensi. Per i primi due ho tenuto concerti praticamente quotidiani di musica strettamente jazzistica, con il quartetto di musicisti sardi con cui sono partita, formato, oltre che da me e Matteo Scano, da Pierpaolo Frailis e Lanfranco Olivieri. Il terzo mese, invece, ho avuto la possibilità di collaborare con la mia collega e amica cinese Misty Ma, conosciuta durante il mio anno di soggiorno in Svezia e incredibilmente ritrovata in Cina, nella sua stessa città, per un puro caso della vita! Con lei, chitarrista, batterista, pianista e cantante, mi sono potuta discostare un po’ da quello che è il mio sentiero musicale, caratterizzato principalmente dal Jazz e dal Pop. E mi sono anche potuta dedicare anche alle musiche locali, integrando così, nei miei concerti, brani nuovi in lingua cinese.

C’è stata qualche occasione particolare in cui ti sei trovata ad esibirti?

Si, ho avuto modo di suonare anche in diverse situazioni “speciali”. Ad esempio al Kempinsky Hotel, uno dei più bei complessi alberghieri di Pechino. Oppure, altra occasione molto importante, sono stata presente con una mia formazione cinese ad incorniciare musicalmente il Gran Gala di premiazione del Golden Panda Award, organizzata dalla Camera di Commercio Italiana in Shanghai. Durante questo evento sono stati assegnati i Panda d’Oro Award 2016, un premio nato col patrocinio della Fondazione Italia-Cina di Cesare Romiti, destinato alle aziende italiane che maggiormente hanno contribuito alla diffusione del Made In Italy in Cina. Qui ho eseguito, tra gli altri brani, una mia versione in italiano di una storica canzone swing cinese, e ho avuto anche il grande onore di interpretare alcuni brani in lingua Sarda davanti all’ambasciatore italiano, che, tra l’altro e con nostro grande orgoglio, è un sardo (il ghilarzese Ettore Francesco Sequi, ndr).

 

A proposito di genti di Sardegna. Hai avuto modo di incontrare qualche emigrato sardo che vive e lavora lì? Che impressioni hai avuto?

Ho scoperto con grande sorpresa che in Cina vivono e hanno avuto successo tanti sardi, che sono riusciti a fare della loro sardità un valore aggiunto nel proprio lavoro. Ho avuto modo di incontrare alcuni di loro, come il ristoratore ogliastrino Massimo Masili e lo chef cagliaritano Francesco Sanna, che ho anche intervistato per raccogliere le loro storie.

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Come ci si sente ad esibirsi in un paese così “lontano”, non soltanto geograficamente?

Già nel 2011 ebbi occasione di vivere e suonare in Svezia per un intero anno e quella in Cina è stata una trasferta per certi versi più facile, proprio perchè avevo già questo “rodaggio” svedese alle spalle. Ma per altri versi è stato più difficile, in quanto la sensazione di trovarti in un luogo “davvero” lontano dall’Europa è imponente. Allo stesso tempo però, e non so neanche io perché, mi sentivo anche a casa, mi sembrava di appartenere a quella terra da sempre e di averla aspettata da sempre. Sarà perché durante la mia infanzia fino ad oggi le persone hanno sempre domandato a me o mia madre se fossi cinese? Chissà!

 

Quali sono le cose che ti hanno colpito maggiormente di questo grande Paese?

La Cina è stata una continua scoperta di tesori, nel bene e nel male. I Suv, le tecnologie e gli status symbol più ostentati sembrano convivere in perfetta normalità con le situazioni di povertà più imbarazzanti, che ti guardano dagli angoli delle strade con occhi carichi di meravigliosa ostinazione lavorativa quotidiana. La Cina è una terra sconfinata in cui sconfinate sono le opportunità, un Paese che non apre facilmente le sue frontiere ma che, allo stesso tempo, riserva grande rispetto e grande considerazione per lo straniero. Essendo un Paese affamato di espansione e di crescita, questo viene visto come portatore di nuovi saperi e nuove competenze.

 

Tu sei andata a proporre musica fondamentalmente occidentale in un Paese in cui fino a poco tempo fa era bandita. Che cosa hai trovato sotto questo aspetto?

La musica che io sono andata lì a suonare, il jazz, si è affrancata solo recentemente da una messa al bando culturale durata decenni. Nonostante proprio Shanghai, prima dell’avvento del regime comunista, avesse conosciuto un fermento jazzistico molto originale e di ibridazione con la tradizione locale. Ma la vera colonna sonora di tutti i diversi scenari reali nei quali ho avuto modo di imbattermi è la loro musica. La musica cinese, che vanta più di settemila anni di storia e un’ancestralità che ti travolge nello stesso punto in cui i grattacieli ti fanno ombra.

 

Con il senno di poi e a cose fatte, che tipo di opportunità trovi sia stata per te questa?

Esibirmi praticamente ogni giorno per tre mesi davanti al pubblico è stata un’opportunità estremamente stimolante dal punto di vista professionale. Avere poi l’occasione di cantare in sardo dall’altra parte del planisfero ha rappresentato una delle più grandi emozioni della mia vita. E mi ha fatto capire che è proprio nell’incontro delle diverse specifiche identità che risiede il maggior potenziale di crescita.

 

A cura di Simone La Croce con la collaborazione di Sara Carboni

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PER SAPERNE DI PIÙ SU MANUELA MAMELI

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La lunga e inaspettata trasferta di Manuela Mameli in Cina