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Maurizio Pretta si è avvicinato alla consolle nei primi anni Duemila, passando in breve tempo dalle feste tra amici ai club più in voga a Cagliari in quegli anni e diventando così DJ Palitrottu. Le sue grandi passioni, per la storia – in particolare per quella sarda – e per la musica lo hanno spinto verso quel limbo che si colloca a metà tra il teatro, la produzione musicale e il live set. Tra una ricerca storica e l’altra negli archivi di mezza Sardegna, ha accumulato idee, sfoderate e messe a punto man mano che incontrava i personaggi più adatti per trasformarle in spettacoli veri e propri.

Tanti attori e musicisti hanno sposato le sue “cause” e insieme hanno strutturato una grande varietà di spettacoli dove musica e parole si fondono fino a diventare tutt’uno, arricchendo così narrazioni tra le più disparate ma con il comune intento di raccontare vicende storiche e umane da punti di vista differenti e non convenzionali, fuggendo dalla retorica, ridimensionando gli stereotipi e abbattendo molti miti radicati nell’immaginario collettivo della Sardegna.

Sono nati così spettacoli come Barbagia ExpressViva La VidaLondra Brucia, Tredicimila Papaveri RossiAdiosu Nanni, che spaziano dai drammi bellici alla nascita del punk. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare in prima persona alcuni di questi spettacoli e per capire quale sia stata la genesi che ha portato alla loro messa in scena.

 

Ciao Maurizio. Raccontaci un po’ come si sono sviluppate le passioni che ti hanno portato agli spettacoli che porti in giro e come hai iniziato.

La musica mi appassiona sin da quando ero un bambino. Ho iniziato, un po’ per gioco e un po’ per passione, nei primi anni 2000 a Cagliari “mettendo” la musica ai compleanni e alle feste di laurea, fino a quando non sono stato avvicinato dai ragazzi di Barbagia Rock (collettivo che organizzava eventi per studenti universitari, ndr) i quali mi hanno proposto di fare il DJ nei locali dove loro stessi organizzavano le feste. Sono passato in breve tempo da selezionare i brani per 40 persone fino a 900 persone nelle discoteche in voga a Cagliari in quegli anni. Di lì a poco ho esteso il mio raggio d’azione anche ai pub e nei piccoli locali, dove sono riuscito a ridurre la saltuarietà delle mie serate e avere un contatto più umano con il pubblico.

 

In seguito sei passato all’attività di producer, se così si può definire, grazie soprattutto ai tuoi spettacoli nei quali assembli e manipoli le musiche. A questo, invece, come ci sei arrivato e in che cosa consiste il tuo apporto?

Sì, in seguito c’è stata questa piccola evoluzione prettamente musicale, legata a piccoli reading, che ho messo in piedi in questi anni, anche in collaborazione con amici musicisti. Grazie all’incontro con altri artisti ho iniziato a utilizzare gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione per la “manipolazione” della musica. Il primo reading è andato in scena nel 2013, uno spettacolo con Giacomo Casti su l’Ardia di Sedilo, che ha esordito a Cagliari per poi replicare nel suo luogo naturale, ovvero il sagrato della chiesa di di San Costantino, al quale hanno seguito tanti altri.

In generale seguo diversi approcci. Uno è quello che a me piace definire dei “commenti musicali“, soluzioni di accompagnamento che si adattano alla lettura, utilizzando la musica, la rumoristica e i suoni d’ambiente. Solo dopo ho arricchito le soluzioni di accompagnamento facendo maggiore ricorso a “contrasti” forti. In uno spettacolo recente ho campionato un brano per pianoforte con un pezzo dei Rammstein.

 

So che sei anche una sorta di “archivista”. Ti piace andare a scovare nei posti più disparati notizie sulla storia recente della Sardegna e, in particolare, della Barbagia Mandrolisai, tua (e nostra) terra di origine, e delle zone interne in generale. Come hai sviluppato questa passione e che cosa attira nello specifico la tua curiosità?

Archivista è una parola grossa. Mi definirei più un “topo d’archivio” (ridiamo, ndr). La mia seconda passione, a pari merito con la musica, è senza dubbio la storia, in particolare quella Sarda recente. Sono ormai più di 10 anni che faccio ricerca per lavoro, anche in posti normalmente poco frequentati dagli storici stessi. Ho fatto anche due lavori editoriali: il primo, sulle vicende della famiglia Gramsci a Sorgono (Marras M., 2014, I Gramsci a Sorgono, Iskra) e il secondo, un’antologia storica sull’Ardia di Sedilo (Pretta M., 2014, In hoc signo vinces. Cronache e memorie dell’Ardia di San Costantino a Sedilo, Iskra). Il mio lavoro consiste nella ricerca in archivio, spesso in libri molto rari, di passaggi o testi che reputo interessanti sotto il profilo storico e culturale, che poi assemblo e arricchisco per poter essere poi portati in scena. Con mio grande piacere, riesco a coniugare queste mie due passioni, quella per la musica e quella per la storia, negli spettacoli che propongo, come quello di cui parlavo prima sull’Ardia o come nello spettacolo Barbagia Express.

 

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A proposito di Barbagia Express. È uno dei primi spettacoli che hai portato in scena. Ce lo racconteresti in breve?

Barbagia Express nasce dalla necessità di raccontare aneddoti e vicende legate alla storia della linea ferroviaria a scartamento ridotto realizzata verso la fine dell’800 in Sardegna. Quando si parla delle zone interne dell’isola raramente si riesce a uscire dal binomio pastori/banditi. Credo fermamente che la Sardegna, soprattutto in quel periodo, nonostante tutte le grandi difficoltà che la attanagliavano, per certi aspetti abbia conosciuto una piccola belle époque, grazie anche a innovazioni, come la ferrovia, che hanno in qualche modo cambiato il corso degli eventi e modificato radicalmente la vita di paesi prima isolati. Volevamo affrancarci dal mito Deleddiano e mettere da parte alcuni cliché, concentrando il racconto sul passaggio alla modernità che, il treno prima e le automobili poi, hanno accompagnato. I racconti riprendono in parte quanto riportato da scrittori e viaggiatori molto noti, come ad esempio David H. Lawrence, ma si rifanno anche a strumenti narrativi per certi versi anomali, come articoli di giornale o poesie semisconosciute, utilizzando come filo conduttore il viaggio in treno e la storia della linea ferroviaria.

 

La storia della Sardegna e delle sue zone interne ritorna spesso nei tuoi spettacoli. Uno spettacolo a cui ho avuto la fortuna di assistere, e al quale mi sento, per ovvie ragioni, molto legato è Adiosu Nanni, una narrazione anomala delle vicende storiche e umane del poeta Peppinu Mereu. Non è la solita narrazione né tantomeno la declamazione delle sue poesie fine a se stessa. Cosa vi eravate proposti di fare?

Anche per Adiosu Nanni abbiamo sentito lo stimolo di narrare una vicenda storica da un’angolazione diversa. Peppinu Mereu e la sua produzione letteraria a nostro avviso lo meritano. Per recitare le sue poesie abbiamo fatto ricorso sia alla lingua sarda sia a quella italiana, proprio per dimostrare che quei versi potevano rendere altrettanto bene anche con una lingua differente da quella in cui furono scritte. Per parlare del poeta invece abbiamo cercato di mettere insieme le poche testimonianze di chi lo ha conosciuto da vicino, in particolare di quel Giovanni Nanneddu Sulis, destinatario delle sue liriche più famose. Insieme all’attore Carlo Antonio Angioni, abbiamo cercato di farlo rivisitando le vicende storiche e i personaggi di quel periodo sottolineando l’importanza che i suoi versi hanno avuto nella cultura, nella poesia ma anche nella musica, quando i suoi versi sono diventati canzoni di protesta nella musica sarda contemporanea. Senza tralasciare gli aspetti umani che si celavano dietro quelle parole, la sofferenza di un uomo fortemente inquieto, sconfortato ma mai arrendevole.

 

Ricorrente è anche questa tua necessità di raccontare i fatti da punti di vista “diversi” e meno convenzionali. Anche in Tredicimila Papaveri Rossi sembra avvertirsi forte questa necessità. È così?

Tredicimila Papaveri Rossi è nato per raccontare il cammino, l’epopea e la tragedia dei tanti giovani sardi che hanno combattuto tra il Veneto e il Trentino, e in particolare nell’altipiano di Asiago, durante la Grande Guerra. Per questi avvenimenti sono state spese tante parole ma noi volevamo trovare un modo alternativo per raccontare il “mito” della Brigata Sassari o quello del grande valore dei sardi sul campo di battaglia, spesso declamati con i toni della cosiddetta “retorica di guerra“. Toni che raramente hanno raccontato la vera tragedia di questi ragazzi che partivano al fronte senza sapere nemmeno dove stessero andando e per chi o cosa fossero stati chiamati a combattere. Sempre insieme a Giacomo Casti, abbiamo pensato di coinvolgere una giovane cantautrice cagliaritana Chiara Figus, nota con lo pseudonimo di Chiara Effe. Chiara ha subito proposto di aggiungere alle poche cover previste per lo spettacolo, dei brani composti e scritti appositamente da lei per lo spettacolo. Io mi sono rapportato con una bella esperienza di sonorizzazione dei passaggi protagonisti dello spettacolo, riscoprendo anche la musica del periodo bellico e pre-bellico, non la musica classica o l’operetta in voga al tempo, ma la produzione musicale futurista di quegli anni, con suoni per certi versi molto ostici ancora oggi.

 

Non solo storia ma anche tanta arte e cultura nei tuoi spettacoli. In Viva La Vida, ad esempio, avete ripreso le vicende di Frida Kahlo, e tu hai fatto un lavoro molto particolare sulle musiche, se ricordo bene.

Viva la Vida è nato dalla mia passione per l’arte di Frida Kahlo e da un un monologo sulla pittrice scritto da Pino Cacucci per il teatro (Cacucci P., 2010, Viva la vida!, Feltrinelli). Ho trovato sin dal principio in Camilla Soru l’attrice più adatta a interpretare i testi dello scrittore piemontese. È stata una ricerca particolarmente divertente e stimolante per me, che mi ha portato a scandagliare le musiche delle civiltà precolombiane e messicane in generale, e a modernizzarla con suoni e ritmi alternativi, come con il pezzo Santa Muerte dei Cartel de la Santa, un gruppo rap messicano. Ho utilizzato sonorità anche molto diverse tra loro, comprese musiche ambient. Un lavoro che si è rivelato anche molto fortunato, con tante repliche in giro per la Sardegna che riproporremo anche a breve.

 

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Così come in Londra Brucia!, altro spettacolo a me molto caro, avete raccontato l’epopea – se di epopea si può parlare – del punk e in particolare dei Clash, contestualizzando fortemente le vicende della band nell’humus storico e sociale nel quale si sono sviluppate. Com’è andata?

Beh, anche Londra Brucia! prende piede da un’altra mia passione, sviluppatasi a Tonara durante i miei anni da studente all’Istituto Tecnico Industriale Antonio Gramsci. È lì che ho ascoltato per la prima volta i Clash. Da quando ho iniziato a fare il DJ non credo sia mai capitato di non avere in scaletta almeno un loro brano. Nel tempo ho incontrato tanti estimatori della band inglese, tra cui Giacomo Casti insieme al quale ho partorito quest’idea del reading-concerto sulla loro storia. Raccontare i Clash senza la musica live ci sembrava irrispettoso e quindi abbiamo contattato Alberto Sanna, altro grande fan, il quale si è unito al progetto con grande entusiasmo. Lo spettacolo è partito l’anno scorso – con due date sold out allo Spazio Antas di San Sperate – e da allora lo portiamo in giro con accoglienze molto calorose in ogni parte della Sardegna.

 

In generale come ti approcci alla realizzazione degli spettacoli? L’iniziativa parte da te o vieni chiamato in causa dai tuoi sodali?

Tranne pochi spettacoli in cui ho accompagnato, su invito, attori o lettori, in genere sviluppo delle idee che nel tempo ho appuntato e ritirato in qualche cassetto. Poi mi basta entrare in contatto con artisti in qualche modo interessati a queste idee, più che altro musicisti e attori, e le sviluppo insieme a loro. Mi piace lavorare con gli altri, cerco sempre di costruire con loro lo spettacolo, anche perché spesso si tratta di persone con un background molto diverso dal mio e dalle quali imparo tanto.

 

Stai lavorando a qualcosa di nuovo?

Quest’anno ho iniziato a lavorare con DJ e musicisti, senza parti recitate. Con la clarinettista Francesca Romana Motzo abbiamo messo a punto Il giro del mondo in 80 suoni, un viaggio tra le musiche dei popoli, rivisitate in chiave elettronica e moderna. Con il chitarrista Marco Senes ho invece avviato un processo di rivisitazione, sempre in chiave elettronica, classici del rock, dai Clash ai Pink Floyd, passando per Depeche Mode e St. Germain.

 

Grazie Maurizio. E benvenuto in Brincamus!

Grazie a voi. Brincamus è un’ottima vetrina. Io sono fresco, essendomi iscritto quest’anno, ma ho già avuto diverse possibilità di esibirmi grazie all’Associazione. Vi ringrazio per questo ma anche per avermi permesso di fare networking con altri artisti, con i quali ho già avviato delle collaborazioni. Fate un grande lavoro e, specie da questo punto di vista, credo sia positivo sia per il pubblico sia per gli artisti stessi.

 

A cura di Simone La Croce

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Musica e storia nei set di Maurizio “Palitrottu” Pretta